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Italia Oggi

E la Lega nelle mense pubbliche vuole la dieta federalista ... Punteggi maggiorati nelle gare d’appalto alle ditte che propongono prodotti tipici e locali... Che i bambini delle mense scolastiche di Treviso debbano mangiare radicchio cinese, quando la loro città è la patria di una delle specie più apprezzate del cosiddetto fiore che si mangia, i leghisti proprio non lo possono mandare giù. Ma anche che in Campania si debbano consumare pomodori pachino, quando ci sono degli ottimi san marzano, lo trovano non solo un delitto gastronomico ma anche un inutile contributo all’inquinamento, visto il trasporto necessario per far arrivare il pomo rosso dalla lontana Sicilia. E così la Lega si è decisa a mettere in campo la riforma della dieta federalista, dopo quella del federalismo legislativo e fiscale che ha visto, in questo anno e più di governo Berlusconi, protagonista il ministro della semplificazione, Roberto Calderoli. È infatti pronto al senato il disegno di legge che tutela i menù locali nei servizi di ristorazione pubblica, su cui il partito di Umberto Bossi è deciso a dare battaglia da settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari. Il dl, primo firmatario Gianpaolo Vallardi, nativo di Oderzo (Treviso) e capogruppo leghista in commissione agricoltura, punta a favorire l’adozione “di modelli alimentari corretti”, recita il titolo dell’articolato, “nella ristorazione collettiva” prevedendo punteggi maggiorati nelle gare d’appalto per le ditte che utilizzano prodotti di un elenco speciale messo a punto dal ministro dell’agricoltura, Luca Zaia. Il ministro dovrà infatti schedare nel giro di 60 giorni dall’approvazione del provvedimento, e d’intesa con le regioni, le tipicità del territorio.
Nella lista dei top dell’alimentazione made in Italy ci saranno i prodotti che si fregiano dei marchi di qualità riconosciuti dall’Unione europea (Dop, Igp, Stg, biologici, vini di qualità di zone particolari, quelli che rispondono ai requisiti della tipicità e tradizione, e poi quelli ottenuti nell’ambito delle filiere corte, ovvero per i quali le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione non siano allocate a più di 70 Km di distanza).
Essere nella lista consentirà di avere un titolo preferenziale nell’aggiudicazione degli appalti per la ristorazione collettiva dei luoghi di lavoro della pubblica amministrazione. Sicché la platea dei destinatari è piuttosto ampia, riguardando potenzialmente circa 3 milioni di soli travet: ci sono le mense e i bar interni ai ministeri, quelli dei tanti enti locali, e poi la sanità, senza dimenticare la scuola, dove in questo caso i fruitori sono soprattutto gli studenti, quelli più piccoli degli asilo e della scuola dell’infanzia e quelli più grandi delle elementari e delle medie che hanno l’orario continuato. “La mensa pubblica deve essere anche un’occasione per fare educazione alimentare”, spiega Vallardi, “specie quando il servizio è erogato in ambito scolastico”.
Il modello di riferimento è quello dell’Inghilterra, “dove da tempo, per combattere l’obesità giovanile, hanno fatto ricorso alla dieta mediterranea”. Ma non c’è il timore di danneggiare
la libera concorrenza e alla fine far salire i prezzi del servizio? “No, perché utilizzare preferenzialmente prodotti del luogo significa anche incrementare la produzione di tipicità poco note”, spiega Vallardi, “dando ossigeno all’agricoltura locale e alla fine spuntando anche prezzi competitivi”.

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