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Italia Oggi

Alcol all’aperto, un divieto a metà ... Resta il blocco a vino e birra, ma Scajola cerca la via d’uscita... Alla fine Scajola ci ha messo una pezza, ma non basta. Con una circolare diramata ieri in fretta e furia dalla direzione concorrenza e consumatori, il ministero dello Sviluppo economico ha disinnescato il blocco di vendita degli alcolici in sagre, fiere, feste locali e mercati da parte dei commercianti su aree pubbliche. Gli ambulanti, per capirci, ma anche i gestori dei chioschi, dei ristoranti mobili, degli automarket, ecc.. La circolare fornisce una duplice interpretazione, affermando che le norme introdotte dalla Comunitaria 2008 inaspriscono solo le sanzioni di divieti già in essere. E salva sia la possibilità, per tutti gli esercenti (ambulanti compresi), di vendere bevande alcoliche in contenitori chiusi (mentre al bicchiere possono vendere solo i titolari di licenza di pubblico esercizio), sia la possibilità per
chiunque abbia i requisiti professionali di continuare a vendere e somministrare bevande alcoliche nelle manifestazioni temporanee. Tutto questo però non basta. Anzi, è panico da Nord a Sud dopo le restrizioni disposte dalla Comunitaria, perché nonostante l’interpretazione ministeriale, sembrerebbero compromesse molte delle tradizioni enogastronomiche locali.
Le recenti modifiche introdotte nell’ordinamento dalla legge 88 dell’8 luglio scorso, infatti, hanno creato non pochi problemi interpretativi agli operatori del settore e alle rispettive associazioni, in relazione al fatto che il quadro di riferimento normativo è estremamente composito e, quindi, di difficile coordinamento.
Due, in particolare, le questioni sul tappeto. La prima connessa a quali sono effettivamente le attività interessate dal divieto alla somministrazione, l’altra collegata al divieto di vendita degli alcolici su aree pubbliche. In tal senso, queste ultime settimane hanno
fatto registrare alla cronaca diverse iniziative su questo fronte con le prese di posizione anche di amministratoti locali, tra i quali vanno ricordati il vice presidente della Regione Friuli Venezia Giulia e il Sindaco di Firenze, Renzi. Ambedue si sono mossi per chiarire la posizione delle rispettive amministrazioni e, se del caso, adottare i necessari provvedimenti. Per il friulano Ciriani, le restrizioni alla vendita degli alcolici non devono riguardare le varie manifestazioni fieristiche che si svolgono in regione,di promozione del territorio e dei suoi prodotti, tra i quali la parte del leone la fa il vino.
Da Firenze, invece, parte il grido di allarme a tutela degli innumerevoli chioschi adibiti al commercio della trippa che viene venduta, di norma, accompagnata, da un buon bicchiere di vino. Per Firenze, la risoluzione della problematica sta tutta nella interpretazione di quella disposizione del Tulps che vieta il commercio ambulante delle bevande alcoliche. “Ma i chioschi ambulanti non sono perché infissi al suolo”, chiosa il Comune fiorentino, e, quindi, “il divieto non si applica”. Anche se, a dire il vero, la giurisprudenza amministrativa da sempre sostiene che i chioschi vanno autorizzati in base alla legge sul commercio e non in base alla disciplina sui pubblici esercizi
Ma la questione è talmente complessa che il Ministero dello sviluppo economico ha sentito il dovere di intervenire, con tempestività, per cercare di dirimere le problematiche sorte che hanno spinto i diversi amministratori locali a prendere posizione minacciando anche la disobbedienza civile.
Il chiarimento è intervenuto con il parere del 30 luglio a firma del direttore generale della Dg Concorrenza e consumatori del dicastero che, tuttavia, solo in parte accontenta i fautori delle tradizioni perché con la dettagliata analisi della disciplina in vigore, prima ancora delle modifiche introdotte dalla legge comunitaria, il Ministero fuga ogni possibile dubbio interpretativo circa il fatto che nei chioschi adibiti alla vendita della piadina, della porchetta o della trippa, il calice di vino non può legittimamente essere servito.
Per la vendita di una bottiglia, in base alla disciplina previgente, non c’era alcun problema, ma quella di un calice di vino o di birra non è mai stata consentita perché lo vieta espressamente una disposizione del regolamento del testo unico di pubblica sicurezza. Ma la recente disciplina intervenuta ha reso il quadro di riferimento ben più complesso di quanto il Ministero lascia intendere, perché il divieto alla vendita delle bevande alcoliche al di fuori delle pertinenza di bar e ristoranti non è più oggi consentita né in bicchiere né in bottiglia. Il secondo comma dell’articolo 23 della legge comunitaria 2008 non lascia dubbi interpretativi.
Insomma, a poco serve il tentativo del ministero di affermare che le novità riguardano soltanto l’inasprimento delle sanzioni. In sostanza, anche gli ambulanti per aggirare l’ostacolo dovrebbero munirsi della licenza prevista dall’articolo 86 del tulps e diventare essi stessi pubblici esercizi. Più complessa è anche la questione relativa alle sagre e manifestazioni locali. Da tempo ormai, è stato rimosso dall’ordinamento l’articolo 103 del tulps che consentiva le autorizzazioni temporanee.
E’ gioco facile per lo Sviluppo economico affermare che, di fatto, la legge non vieta tale tipo di somministrazione. Ma gli operatori del settore sia pubblico sia privato ben sanno che le licenze sono ancora ancorate a sistemi di programmazione e quindi anche quelle temporanee.
La conseguenza è che le regioni che non si sono dotate di una propria disciplina e quindi continuano ad applicare ancora la legge statale non possono rilasciare autorizzazioni temporanee se non alle associazioni di promozione sociale oppure soltanto nei casi in cui l’attività sia integrata da iniziative di trattenimento e svago. L’allarme, quindi, di chi vedeva o vede compromesso il mantenimento delle fiere e tradizioni locali è del tutto motivato, a meno che non si provveda con il rilascio di una autorizzazione in base all’articolo 86 del Tulps. Ed era, forse, questo il chiarimento che il ministero dello Sviluppo economico avrebbe dovuto fornire per dare quella certezza di cui hanno diritto le Pro Loco e le associazioni di mezza Italia che organizzano eventi al fine di cercare di valorizzare il patrimonio enogastronomico locale.

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