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Italia Oggi

Sagre e feste spiazzate ... Nelle sagre e nelle feste di piazza che ravviveranno le sere dell’estate 2009 si potrà bere un calice di vino o una pinta di birra? La risposta è sì, no, forse. Beviamoci sopra.
Tutta colpa dell’articolo 23 della legge comunitaria 2008, un esempio eloquente di analfabetismo giuridico. Nel primo comma di questa norma, entrata in vigore da un paio di giorni, si dice esplicitamente che si vogliono ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol. Perciò si dispone che, da mezzanotte alle 7 di mattina, la somministrazione e il consumo sul posto sono consentiti solo nei locali autorizzati. Si voleva inibire la somministrazione degli alcolici ai commercianti ambulanti che si posizionano fuori dalle discoteche di notte. Ma la norma è scritta così male che riesce anche ad autorizzare la somministrazione e la vendita nelle ore non notturne.
Ma poi c’è il secondo comma, dove si prevede che non si possono né vendere né somministrare alcolici su aree pubbliche escluse le pertinenze di bar e ristoranti. Questo ha gettato nel panico molti amministratori locali che avranno pensato: dovremo costringere i nostri elettori a contentarsi di trippa e Coca-Cola? Oppure pizzoccheri e gazzosa?
Il rischio è reale perché, per quanto riguarda le manifestazioni di piazza, il Tulps all’articolo 103 prevedeva il rilascio di licenze temporanee. Ma è stato soppresso. Il ministero per lo sviluppo economico, nel tentativo di metterci una pezza, è intervenuto ieri con una circolare nella quale afferma che la legge 287 che disciplina l’attività di somministrazione nelle regioni che non si sono dotate di autonoma disciplina non vieta il rilascio di autorizzazioni temporanee, però non precisa che le autorizzazioni sono soggette alla stessa disciplina prevista per l’apertura di
un bar o di un ristorante. Ovvero soggette alla programmazione comunale. Quindi l’autorizzazione temporanea è possibile solo in presenza di un’attività di intrattenimento o spettacolo pubblico. Oppure può essere concessa alle associazioni di promozione sociale, che possono richiedere l’autorizzazione per espressa disposizione contenuta nella legge che norma queste associazioni. Tutto ciò però vale solo nelle regioni in cui si applica la normativa statale perché non hanno approvato norme proprie in materia.
Quindi per capire quali sono i divieti vigenti bisogna distinguere regione per regione e caso da caso. Tanto che la confusione regna sovrana.
Addirittura le due associazioni di categoria, Confesercenti e Confcommercio, interpretano la norma in modo diverso. E il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, incita i chioschi della trippa alla disobbedienza civile.
Forse sarebbe meglio invitare il legislatore a studiare le norme prima di scriverle.

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