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Italia Oggi

Il mercato del vino è globale e sempre piu quotato in borsa ... Piccolo è bello, recitava un adagio economico di qualche decennio fa. Le imprese non troppo grandi, infatti, possono controllare meglio i processi organizzativi, focalizzarsi nell’offerta e specializzare il capitale umano meglio dei colossi conglomerali o delle grandi corporation. Ma l’esser piccoli significa anche avere maggiori difficoltà di raccolta dei capitali, budget di investimento più contenuti e quasi sempre una posizione negoziale debole con i canali commerciali. Eppoi l’apertura globale dei mercati dell’ultimo decennio ha impresso una accelerazione senza precedenti alla necessità per ogni azienda di avere e ragionare con il mappamondo davanti. Ovviamente il cambiamento vale anche per il settore vitivinicolo che ha fatto della opzione impresa piccola quasi una filosofia industriale. L’impresa vinicola italiana esprime un fatturato medio di qualche milione di euro, quelle con vendite annue superiori ai cento milioni di euro si contano sulle dita di una mano. La proprietà vinicola è frazionata e capillarmente dispersa in maniera non dissimile nelle varie regioni produttrici. Ma quando si fatturano cinque o sei milioni di euro all’anno seguire i cambiamenti dei consumatori giapponesi o di quelli olandesi è tutt’altro che facile. Il mondo del consumo di vino si è fatto globale, mentre la struttura produttiva italiana è restata dimensionalmente ferma al passato. Il business è ancora molto a matrice familiare e neppure un’impresa ha saputo, ad esempio, quotarsi in borsa per cercare capitali aggiuntivi necessari per finanziare acquisizioni o una crescita a doppia cifra. Ma all’estero i colossi vinicoli sono sempre più presenti. Constellation, il principale operatore al mondo, fattura circa tre miliardi di dollari annui nel settore, Gallo oltre due, la francese LVMH circa un miliardo e mezzo, l’australiana Foster’s circa un miliardo. Tra ai primi dieci gruppi vinicoli al mondo per fatturato annuo quattro sono francesi, due americani, due australiani, uno inglese e uno tedesco. Otto di questi gruppi sono quotati in borsa. La cilena Concha y Toro, anch’essa quotata in borsa e principale cantina dell’America latina, nel 2008 ha fatturato 590 milioni di dollari, mentre in Spagna sono quotate in borsa Baron de Ley fondata solo nel 1985 nella regione di Rioja, la Bodegas Riojanas e la Compagnia vinicola del norte de España. In 25 anni tra il 1980 e il 2005 nel settore vinicolo sono state perfezionate ben 1265 fusioni o acquisizioni delle quali il 48% in Europa. Insomma il settore sta procedendo verso assetti proprietari e dimensionali molto diversi rispetto alla tradizione produttiva del novecento. Una tendenza che inevitabilmente, come è già avvenuto in tutti i principali mercati vinicoli del mondo, significherà avere anche aziende vitivinicole italiane con un fatturato di alcune centinaia di milioni di euro annuo e quotate in borsa. Solo così potranno gestire al meglio il portafoglio di offerta che necessita oggi di un marketing di prodotto globale e professionale. Saranno i grandi gruppi del vino internazionale ha dettare le strategie di consumo di questo secolo lasciando al vino aristocraticamente piccolo e del territorio nicchie sempre meno facili da presidiare.

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