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Italia Oggi

Il vino è già glocal, ma non è detto sia un bene ... Glocal è un neologismo che ha guadagnato qualche consenso negli ultimi anni. Fonde il termine local, cioè territorio, con quello globalizzazione e vuole testimoniare la necessità nel mondo di oggi di difendere al meglio i valori e le tradizioni locali nel business mondiale. Il vino per sua natura è glocal, perché espressione storica di un Terroir e da tempo internazionale nei consumi e nelle vendite. Ma è un glocal particolare per varie ragioni. Innanzi tutto per le caratteristiche dei consumi nei principali paesi produttori. Francia ed Italia sono ancora i più importanti consumatori di vino al mondo in termini assoluti e per litri per abitante. Consumano, però, quasi esclusivamente vini nazionali, cioè local. La loro industria vinicola gode di una implicita barriera all’entrata fatta dalla storia e dalla tradizione che fa sì che almeno l’80%, e nel caso dell’Italia molto di più, degli acquisti annui riguardino vini autoctoni e del territorio. La concorrenza quindi nei principali mercati di produzione è, nel mercato domestico, altrettanto domestica. I produttori italiani si devono preoccupare relativamente poco di quello che fanno le grandi cantine americane, cilene o francesi perché godono di una tranquilla rendita di posizione nei consumi nazionali. Ma le posizioni protette e garantite non sono mai eccessivamente positive in economia. Rallentano l’innovazione, allontanano un mercato dalle migliori tendenze internazionali nel marketing e nella vendita, non attraggono i capitali di ventura e non favoriscono la selezione della migliore classe imprenditoriale e manageriale. I mercati garantiti e protetti dalle spinte esogene, come quello del vino italiano in qualche modo è, sono mercati relativamente poco dinamici. Per di più la forza e la tranquillità del mercato interno possono produrre un effetto rilassamento anche verso la competizione globale. Invece di agire con determinazione per riguadagnare o guadagnare all’estero le quote contestate o perse in Italia, le imprese che godono di un loca1 troppo generosamente tranquillo potrebbero preferire di alzare bandiera bianca e lasciare, come in parte è avvenuto nei mercati vinicoli più competitivi come quello britannico o olandese, la palla dell’iniziativa ai produttori del cosiddetto nuovo mondo. Poter disporre di un Terroir con una tradizione ed una storia secolare è sicuramente un vantaggio ma a condizione che tale fatto non si trasformi in una scusa per rilassarsi nel protetto mercato domestico. In questo secolo continuerà la tendenza al calo dei consumi nei paesi produttori del vecchio mondo, mentre crescerà quella al consumo di vino da parte dei mercati asiatici ed americani. Ed in questi mercati si giocherà una partita molto global e meno local perché sarà fondamentale saper vender prodotti adeguati alle aspettative di questi consumatori. La strategia di marketing peserà molto di più delle storie sul clima e la cultura di un territorio. Ed il prezzo sarà essenziale per penetrare i mercati massificati asiatici. I produttori vinicoli di successo in questi contesti saranno quelli che più di ogni altro si faranno globali o meglio glocal in un’accezione nuova: essere locali rispetto ai gusti ed alle aspettative dei consumatori internazionali e globali nella gestione dell’offerta. Se il vino italiano rimarrà troppo schiacciato sulla dimensione locale rischia di perdere le opportunità uniche che questo secolo offrirà al vino globale. Essere glocal è importante ma a patto che non diventi un elemento di conservazione di tradizioni non facilmente vendibili oltre confine.

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