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Italia Oggi

La Cina ora beve tanto vino … Il 2010 è stato generoso per l’export vinicolo italiano in Cina. Nonostante l’euro forte, nel primo semestre dell’anno le vendite di bottiglie italiane nel più popoloso paese del mondo sono cresciute a tripla cifra: 242%. Un dato che si aggiunge al sorpasso storico messo a segno dai consumatori cinesi con il Bordeaux, visto che dal 2009 il principale mercato al mondo per le esportazioni del blasonato vino francese è proprio quello asiatico. Insomma in Cina i consumi di vino stanno crescendo e diventando un fatto non più confinato, come è stato in pratica finora, ai soli ristoranti occidentali degli alberghi di lusso delle principali città del paese. Si tratta, ovviamente, di una importante occasione di business per un comparto, come quello vinicolo, che da decenni soffre di uno strutturale disequilibrio tra domanda ed offerta, essendo la seconda superiore alla prima. La Cina con le sue decine di milioni di potenziali nuovi consumatori, abituali o soltanto più realisticamente occasionali, di vino rappresenta una sorta di terra promessa per i produttori di vino di mezzo mondo. Ci stanno puntando seriamente da anni con azioni di marketing puntuali gli australiani, che sono una sorta di vicini di casa e che possono sfruttare 1’effetto “passaparola” della folta comunità cinese che vive e lavora in Australia. Sono attivi in Cina, con tutto il supporto delle agenzie statali, i francesi, interessati a sfruttare il blasone e l’avviamento di cui godono. Stanno lavorando intensamente gli stessi americani che produco quasi tutto il loro vino tra California e Oregon, praticamente a una nave container di distanza dai porti cinesi. Il consumo di vino cinese cresce e crescerà, ma sarà tutt’altro che facile per i produttori italiani guadagnare quote di mercato. Niente può essere dato per scontato in questa autentica campagna di Cina. Vanno invece messe a punto e portate avanti mirate strategie di marketing, anche segmentando il mercato cinese per aree geografiche. La Cina è un continente e per una media azienda vinicola italiana può essere estremamente costoso coprire l’intero territorio. Meglio, molto meglio individuare una regione e concentrare gli sforzi in quell’area per poi allargarsi una volta acquisita una autentica base operativa in Cina e un fatturato stabile. In alcune città cinesi la concorrenza è davvero importante, mentre in altre città, che stanno comunque beneficiando della crescita del pil annuo dell’8%, gli spazi di manovra per gli esportatori di vino sono più agevoli. Non sempre essere presenti nelle carte dei vini di Pechino o Shanghai si rileva una strategia ottimale. Per entrare in quelle carte si devono accettare sconti significativi per poi scontare l’effetto bassa rotazione perché il sommelier ha troppo da consigliare e magari preferisce spingere prodotti più conosciuti o più sensibili a riconoscergli un bonus sulle vendite. Se il budget commerciale per farsi spazio in Cina non è robusto, passare per una opportuna segmentazione territoriale dell’offerta è quanto mai opportuno. Nel continente cinese si possono agevolmente vendere decine o centinaia di casse a Chengdu o Nanchino, dove comunque si è formato un ceto medio locale ed esiste ormai una nomenclatura politica e managerial/imprenditoriale con buone disponibilità per consumare all’occidentale. Nell’affollata Cina, affollarsi a vendere vino nei soliti posti, non è affatto detto che sia il modo migliore per fare profitti.

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