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Italia Oggi

Lotta intestina tra i vigneti dell’Asti… Dopo la riforma dell’Ocm vino, il consorzio di tutela punta a far entrare il comune nella docg… Il capoluogo è fuori dal disciplinare. Denominazione a rischio… Non c’è pace tra i vigneti dell’Astigiano. Dopo l’uscita dal Consorzio di due pezzi da novanta come Gancia e Martini&Rossi, dopo la dura battaglia, che in estate ha contrapposto vignaioli e trasformatori per i prezzi delle uve e per la richiesta, in parte inevasa, di maggiori quantitativi di bottiglie di Asti spumante da commercializzare sui mercati esteri, in queste settimane tornano ombre nere sull’iter per la tutela della denominazione. La vicenda dura ormai da molti mesi: per adempiere alle norme inserite nella nuova Ocm vino comunitaria, il Consorzio aveva avviato le pratiche per modificare una norma del disciplinare, che non comprendeva, tra i 52 comuni produttori, suddivisi tra le province di Asti, Cuneo e Alessandria, proprio quello di Asti. Come insegna la vicenda del Prosecco, se non si lega una denominazione al territorio, questa rischia di essere perduta. Così, mesi fa, il Consorzio avviò le pratiche per la modifica del disciplinare, includendo un’area del comune di Asti di circa 80 ettari idonei, ma dei quali solo 25 già vitati. Nel 2008, espletate tutte le pratiche consortili e regionali, il ministero alle politiche agricole diede il suo benestare, ma il piccolo comune di Coazzolo, insieme ad alcuni produttori, fece ricorso al Tar e vinse, forte del precedente internazionale del Tokai, in cui l’Ungheria vinse, in sede comunitaria e impose che la denominazione Tokai fosse riservata solo al vino prodotto in quel paese e non in altri, come in Friuli. Da allora, la pratica Asti è rimasta di fatto bloccata, ma, nel frattempo, è entrata in vigore 1’Ocm comunitaria con gli obblighi sulle denominazioni legate ai territori. Ora il Consorzio è tornato alla carica e ha premuto sull’acceleratore per rivedere quel giudizio, le cui conseguenze oggi rischiano di distruggere un patrimonio unico in Italia. Il presidente del Consorzio, Paolo Ricagno, ostenta sicurezza sul buon esito del nuovo dossier: “Molte cose sono cambiate da quello Sto”, dice. “Sono cambiati i contesti, è cambiata la normativa comunitaria, sono cambiati anche gli amministratori locali. Siamo ottimisti su una rapida approvazione del nuovo disciplinare”. Ricagno non nasconde che, all’epoca del gran rifiuto da parte di alcuni produttori, l’informativa da parte del Consorzio forse non è stata ben argomentata e alcuni hanno speculato su dubbi e fantasmi. “Ma ora spiegheremo con dovizia di particolari perché questa modifica è essenziale perla sopravvivenza della denominazione”, spiega. L’agenda è fitta: a breve ci sarà l’incontro con i sindaci dei 52 comuni, poi la pratica passerà in regione e alla commissione regionale vitivinicola. Se non ci saranno ulteriori ostacoli, il nuovo disciplinare dovrebbe arrivare al ministero entro gennaio. Ma c’è chi non nasconde che, alla base di questa presa di posizione anti allargamento ci siano beghe di campanile. Non sfugge infatti che, tra i produttori in comune di Asti c’è un pezzo da novanta come Zonin. E questo ha significato, probabilmente, per alcuni, un’invasione di campo, o per meglio dire, di campanile. Di cosa hanno paura i piccoli produttori? Di un’ulteriore riduzione delle vendite? O dei prezzi delle uve? I numeri possono aiutare: si tratterebbe di 25 ettari su 10 mila, di 300 mila bottiglie su un totale di 100 milioni tra Asti spumante e Moscato d’Asti. Ha un senso questa guerra di religione a fronte del rischio della perdita della denominazione?

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