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Italia Oggi

Il capitale è a costo zero. Investiamolo nel vino ... costo del denaro della principale economia del mondo, quella statunitense, è stato fissato tra lo 0 e lo 0,25% nel dicembre 2008 dalla banca centrale americana, e rischia di restare a questo livello minimo ancora per molto tempo. Probabilmente per gran parte del 2011. Ciò significa che il capitale non costa più praticamente nulla e che quella che doveva essere una misura eccezionale di brevissimo periodo per gestire gli effetti sul mercato, soprattutto interbancario, del fallimento di Lehman brothers è diventata una misura centrale della politica economica dell’attuale stagione. Ma può il capitalismo funzionare bene se il principale bene che lo caratterizza è pagato nulla o quasi per essere scambiato? E, ancora, quale tipo di economia di mercato è davvero in azione se il capitale viene prestato a tasso zero per due anni o più? È indubitabile che l’eccezionalità della situazione venutasi a creare non può più essere letta esclusivamente con le lenti della politica monetaria. Non basta più rinviare alla peggiore crisi sistemica per giustificare una oggettiva anomalia dell’economia capitalistica perché, se è vero che c’è stato un evento estremo anche sul piano della reperibilità della liquidità, è altrettanto vero che il trascorrere del tempo dovrebbe aiutare a superare l’eccezionalità. Invece ci dobbiamo preparare a convivere con un capitalismo in parte originale, nel quale il costo del denaro sarà quasi gratuito per un tempo ancora ragionevolmente lungo. E questa è un’ottima notizia per i governi e le società molto indebitati. Ed anche per tutti coloro che devono intraprendere attività rischiose perché pagheranno il capitale a sconto rispetto al novecento. A spiegare questo cambiamento non è soltanto il massivo deleverage in corso dal 2008 ed ancora in azione che segna anche una svolta importante rispetto al passato: negli anni novanta la politica dei tassi bassi della Fed era stata la miccia per accendere l’innesco dell’effetto leva finanziaria su una scala mai conosciuta prima, mentre oggi la stessa politica, ancora più aggressiva, della Fed accompagna l’emersione della nuova stagione della “leva minima”. C’è anche il fatto che nel ventunesimo secolo il capitale è un bene molto meno scarso di quanto nonio fosse nell’ottocento, quando la rivoluzione industriale chiedeva ad una società contadina una massa enorme di capitale aggiuntivo per finanziare la realizzazione delle nuove macchine, e nel novecento, quando stati e grandi imprese hanno assorbito capitale per realizzare e finanziare un onnivoro welfare stato e per crescere dimensionalmente. L’economia manifatturiera e quella dello stato imprenditore domandavano e assorbivano tanto capitale privata senza il quale non potevano finanziare i rispettivi obiettivi. Ma oggi il capitalismo quaternario, fatto di tanti servizi innovativi, deve investire molto meno capitale in maniera permanente, mentre dal lato dell’offerta la società è molto più patrimonializzata e ricca di capitale da mettere a disposizione. Nel passato c’era un eccesso cli domanda cli capitale a fronte di una offerta contenuta, oggi, come dimostrano anche le analisi più recenti sul livello di ricchezza privata mondiale, il capitale abbonda ma il capitalismo può operare, innovare e crescere consumandone meno di prima. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il costo del capitale, bene caratterizzante l’economia di mercato che almeno sulla carta non potrebbe mai essere scambiato gratis se non in situazioni eccezionali, è pari a zero o quasi e lo rimarrà ancora per molto tempo. In questo quadro deve essere calato anche il settore vitivinicolo. Nel vino, solitamente, è investito molto capitale in terreni ed impianti. Capitale immobilizzato per anni. Oggi, forse, soluzioni originali sono percorribili per superare questa situazione.

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