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Italia Oggi

Il pii svedese cresce dei 7,3%, ma resta in piedi purtroppo il monopolio pubblico dei vino ... La Svezia corre veloce e ormai cresce quasi come la Cina. Può sorprendere i più, ma nell’ultimo trimestre del 2010 il pii dell’economia scandinava è salito dell’1,2%, mettendo a segno, su base annua, un incredibile rialzo del +7,3%. Un dato davvero strabiliante per il vecchio continente soprattutto perché realizzato da un’economia senza materie prime, a differenza della Norvegia, che ha fatto della valorizzazione del capitale umano un suo punto di forza. Anche in Europa, quindi, si possono creare le condizioni per poter essere competitivi nell’economia globale e per non restare schiacciati dall’avanzata delle economie emergenti. Il boom svedese, peraltro, è interessante anche per gli operatori del comparto del vino: In Europa la Svezia è un paese con un elevato consumo alcolico per abitante, un p0’ legato al clima e un po’ alla tradizione, e con una potenzialità di crescita nel consumo di vino annuo per capita. Nell’immediato secondo dopoguerra bere vino a Stoccolma era una chiccheria per pochi aristocratici, oggi accompagnare un pasto con una bottiglia di vino è ,invece, un normale evento di un pranzo di affari. In verità in tutta la Scandinavia il consumo di vino potrebbe crescere molto più rapidamente ed essere più simile a quello delle altre economie del nord Europa, come l’Olanda o la Germania, se i governi riformassero alcune peculiarità locali. Il limite al consumo che ancora incontrano i benestanti cittadini di questa parte del vecchio continente, che è rimasta estranea all’euro, è quello posto da una legislazione molto atipica sull’importazione dei prodotti alcolici. Solo lo Stato, tramite una agenzia che opera in regime di monopolio, può acquistare prodotti alcolici (la stessa regola vale anche per il Canada ad esclusione del Quebec). In pratica dei funzionari statali decidono cosa, in termini enologici, i cittadini scandinavi possono trovare sugli scaffali dei supermercati o nelle carte dei vini e anche a quale prezzo. La tipologia di vini importati annualmente e le rispettive quantità sono definite centralmente da un monopolio statale. In qualche modo è uno degli ultimi residuati economici della pianificazione social-statalista del primo dopoguerra: sulla base di parametri definiti, non dalla domanda e dall’offerta di mercato, ma da stime ed assunzioni burocratiche di una struttura statale in Scandinavia si decide quanto vino è consumabile annualmente. I paesi nordici difendono la sopravvivenza del monopolio pubblico all’importazione di alcolici con argomentazioni legate alla “pericolosità sociale” dell’eccessivo consumo di alcol. Troppi cittadini diventerebbero alcolisti, altrimenti, ovvero troppi giovani sarebbero eccessivi consumatori di bevande alcoliche. La sopravvivenza del monopolio statale sarebbe a tutela dell’incapacità del cittadino medio di disciplinare il proprio consumo di vino e di prodotti alcolici. Una funzione tutoria, quindi, che lo Stato esercita in sostituzione dei suoi cittadini, decidendo annualmente quanto alcol importare e far consumare. L’economia svedese cresce bene perché ha saputo riformarsi meglio e più rapidamente delle altre. Con quasi 10 milioni di cittadini affluenti e con un elevato reddito per capita, il mercato svedese è uno dei più interessanti per gli esportatori del made in Italy. Tanto più rapidamente l’economia di Stoccolma saprà liberalizzarsi, tanto meglio sarà per chi ha prodotti competitivi da offrire. Nel caso del vino, però, tutto è condizionato dal superamento di pratiche amministrative davvero eccessivamente protettive rispetto alla possibilità di informare e di controllare oggi praticabili dai governi.

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