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Italia Oggi

Vino, cabina di regìa per l’export ... Giù i consumi interni. Anche i big rischiano il deprezzamento... Proposta di Antinori (Grandi Marchi). Mastro Berardino (Uiv): si produce molto, si comunica poco... Si produce ma non si comunica, si degusta ma non si compra. fi mondo del vino italiano è alle prese con la ricerca di una giustificazione al calo di consumi, che non riesce ancora a trovare. 11 vino rimane in cantina e c’è chi cerca di approfittarne. Un produttore-commerciante di Montalcino avrebbe chiesto a piccole aziende di vendergli il Brunello 2005 a 5,50 euro la bottiglia. Tra le aziende, che hanno ricevuto l’offerta c’è chi si è indignato: Anna Maria Buzdon dell’azienda agricola Podere Paganico. La reazione nasce dal fatto, che il normale prezzo di vendita cli quel Brunello è di 16 euro a bottiglia, mentre il Rosso di Montalcino viaggia sugli otto euro. Il deprezzamento, però, la dice lunga sulle molte risposte che il sistema dell’enologia italiana deve dare. Un sistema Italia che, per Piero Antinori, presidente dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi, non esiste. E questo è il vero problema. “Quello della crisi dei consumi italiani di vino è un falso problema, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare”. E continua, “anche in Francia i consumi interni sono calati, ma questo non ha distolto dalla conquista di nuovi mercati di sbocco secondo una strategia comune e ben organizzata. Ed è quello che in Italia non si riesce a fare, perché manca una cabina di regia in grado di governare un settore fortemente parcellizzato”. La posizione di Antinori e delle 17 aziende, 500 milioni di fatturato e 60% di export, che fanno parte dei Grandi Marchi, è una risposta indiretta rispetto a quanto emerso da una inchiesta di Vinitaly. Ovvero quello italiano è un mercato ormai maturo e fatto di consumatori, che non conoscono il vino. Quindi occorre puntare tutto sull’export? Secondo Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc “il vino italiano di qualità gode di corsie preferenziali sui mercati esteri, ma il mercato italiano non va trascurato, perché la crescita dell’export non compensa affatto le perdite dei consumi interni”. E se Antonio Capaldo della Feudi di San Gregorio evidenzia che “occorre riscoprire l’attività di degustazione come propedeutica alla vendita, perché se il cliente non degusta non acquista”, Giancarlo Vettorello del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene punta il dito sull’eccesso di offerta: “Molto possono fare la ristorazione e la distribuzione, anche emarginando i troppi vini generici che vediamo sulle tavole”. Alla base di tutto, manca però il coordinamento della filiera, di una cabina di regia. E su questo aspetto è categorico Lucio Mastroberardino, presidente di Unione Italiana Vini. Diminuiscono i consumi interni perché il sistema manca di strategie condivise e non sa fare cultura e comunicazione, e poi la comunicazione del vino in mano a chi non lo produce. “Il problema della comunicazione riguarda la mancanza di politiche unitarie della filiera”. Insomma, l’Italia del vino “produce troppo, comunica troppo poco sul mercato interno e non sa fare sistema né dentro né fuori dai confini nazionali”. A conferma di questo, i dati di Piero Antinori: “In Cina ogni 100 litri di vino provenienti dall’estero solo cinque portano l’etichetta italiana. A Hong Kong, hub principale per la distribuzione del vino in Asia, il vino italiano si colloca in settima posizione, con una quota di penetrazione del2,3%, contro il 33% della Gran Bretagna o il 31% della Francia”.

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