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Italia Oggi

Un successo e una crisi d’identità ... L’Italia fattura più della Francia, ma con volumi molto maggiori. Il nodo dell’immagine... Si spinge la produzione ma si valorizza poco il territorio... Il triangolo del Nordest ha nel Veneto in prima fila (11 milioni di quintali di uva) il primo produttore ed esportatore nazionale di vino. Parola dell’Istat. Ma a spegnere i troppo facili entusiasmi ci pensa Giampietro Comolli, direttore del consorzio Altamarca di Treviso, la provincia che con Verona genera i due terzi dell’intera produzione veneta: “Nel vino siamo fra i primi al mondo, a cominciare dagli Stati Uniti. Ma i nostri vini, pur vendendo molto più dei francesi, producono un fatturato solo di poco superiore”. Sottolinea Marco Baccaglio: “L’Italia fattura 1.220 milioni di dollari, la Francia invece 1.014 milioni, ma è al quarto posto per volumi”. Tradotto: si vende tanto, ma ancora a un prezzo medio più basso rispetto ai cugini d’Oltralpe, il riferimento mondiale di tutti “pur con una qualità del tutto paragonabile”. Le politiche di prezzo, in un mercato disomogeneo come quello vitivinicolo, sono condizionate da mille fattori: dalla scarsa allure di nomi e marchi, a una distribuzione dispersa in mille rivoli. Ma anche da un eccesso di produzione e di sovrapposizioni, che impone poi di abbattere i prezzi per non ingolfare i magazzini. Dalla irrinunciabile bollicina - al vino di fascia medio-bassa che si fatica a piazzare se non svendendolo. Nell’ultimo anno i prezzi dell’uva sono risaliti, dopo due vendemmie di prezzi in picchiata. La tensione sui prezzi della materia prima dice molto, ma non tutto. Il valore delle uve di Prosecco, elaborato da Veneto Agricoltura, è aumentato del 25% per le Doc, dell per le Docg e del 28 per il Cartizze, mentre per altre tipologie come il Pinot grigio Doc si sono registrati nuovi cali: del 15,4% in Valdadige e del 16% nel Lison-Pramaggiore e in zona Piave. I prezzi variano molto da regione a regione e anche fra province. Verona è leader per quantità, ma l’aumento medio dei prezzi è fra i più bassi: 4,5%. “Il mercato chiede Prosecco. È il più venduto sia in Italia che fuori (nell’ultimo anno si stimano 260 milioni di bottiglie prodotte nel solo Triveneto) e nessuno si sogna di non averlo a listino”, continua Comolli. “Ma quando tutti fanno tutto, si perde di vista l’identità del territorio, che poi non è adeguatamente valorizzata”. “Non è solo la qualità dell’uva e del metodo, oggi, a determinare il prezzo finale”. In tal senso i francesi, che quest’anno sbarcano per la prima volta al Vinitaly, rimangono maestri, ma non più irraggiungibili. “Per vent’ anni si è suonata solo la campana del miglior rapporto qualità/prezzo, senza considerare che ciò si traduceva sempre in un prezzo basso. Tuttavia, oggi la produzione italiana cerca di cambiare strategia. Non dipende nemmeno dalle dimensioni: alcune piccole cantine spuntano margini superiori ai grandi perché le bottiglie di fascia alta si vendono sempre, ma comunque si scontano anni di errato posizionamento di tutto il nostro vino”. Un lavoro lungo, che dovrebbe interessare soprattutto quell’ampia fascia di onesti vini da tavola così come altri di gran valore che hanno una loro stabile nicchia “come l’Amarone di Verona, spesso venduto più al prezzo atteso dal cliente che non come una delle nostre eccellenze”. Peggio ancora va ai Merlot, Marzemino, Rosso Piave (non Doc). La loro salvezza potrebbe essere promuoverli in Paesi nuovi, come Cina, India, Corea, Brasile e la promettente Russia.

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