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Italia Oggi

Bene rifugio sotto la pergola ... Negli ultimi 20 anni le valutazioni dei vigneti sono costantemente cresciute... Le valutazioni più alte a Valdobbiadene e in Trentino... Terra, bene rifugio per eccellenza. Ma se ci sono anche dei vigneti, l’investimento può diventare assai allettante. Malgrado si avvicini la data del 31 dicembre 2015, che dovrebbe sancire la fine del sistema attuale dei diritti d’impianto per le vigne (salvo proroga al 2017), il mercato non sconta ancora il rischio di aumenti sconsiderati nella produzione di vino in Italia, che potrebbero portare a un calo consistente nel valore dei vigneti. Lo dimostra il ritratto che l’Istituto nazionale di economia agraria (Inea) fa del mercato italiano, in cui i valori delle terre sono in salita costante. Nel 1991, il valore medio di un vigneto italiano si attestava a 17.600 euro l’ettaro. Nel 1996 si erano già superati i 20mila, per arrivare a 31mila nel 2001. Da quel momento in avanti, i prezzi sono andati alle stelle toccando un picco nel 2007 a 34.600 euro l’ettaro per poi stabilizzarsi. Tradotto in percentuali, questo vuol dire che negli ultimi cinque anni il valore fondiario dei vigneti si è apprezzato del 13%. Ma si tratta, è bene ricordarlo, di una media che nasconde una forte variabilità dei prezzi secondo le aree e le vigne. Un esempio per tutti. Per un vigneto Docg Chianti Classico le quotazioni sono salite del 75% tra il 2004 e il 2009 (ultimo anno di cui si dispone di dati ufficiali), mentre per un Docg di Valdobbiadene il valore è cresciuto del 55%. “Il mercato fondiario risulta più dispersivo e meno trasparente di quello urbano, per diverse ragioni. La prima è che le transazioni sono di gran lunga meno numerose delle compravendite di immobili. Parliamo di circa l’1% delle aziende agricole ogni anno”, spiega Andrea Povellato, dirigente di ricerca dell’Inea. “Diversamente dalle agenzie immobiliari, inoltre, nel caso dei vigneti non esistono agenzie specializzate che danno il polso del mercato. Di norma, a far incontrare domanda e offerta ci pensano i professionisti o alcuni mediatori di campagna”. La presenza di un mercato poco liquido, in cui le transazioni si contano ogni anno sulle dita di una mano, non consente dunque l’individuazione di un borsino dei vigneti italiani ma solo indicazioni generiche, con forchette di prezzo che variano sensibilmente anche all’interno della stessa regione o zona di origine. In altre parole, il mercato italiano si caratterizza per grandi oscillazioni tra vigneti venduti a peso d’oro e altre terre di modesto valore fondiario. In cima alla lista, i vigneti Doc di Valdobbiadene, in provincia di Treviso. In questo caso, le rilevazioni Inea parlano di un range di prezzo che oscillava, nel 2009, da un minimo di 340 mila e un massimo di 515 mila euro per ettaro. Molto pregiati anche i vigneti Doc nella zona del Lago di Caldaro, a un passo da Bolzano, con prezzi che variano tra i 315 mila e i 475 mila euro a fronte dei 250-417 mila a cui vengono ceduti i vigneti a nord di Trento. Valori molto simili a quelli dei vigneti Docg
nelle colline di Montalcino in provincia di Siena, dove il costo di un ettaro si aggira tra i 340 mila e i 420 mila euro, mentre il prezzo di un terreno fertile nel Chianti Classico senese oscilla tra 130 mila a 170 mila euro. Leggermente superiore alla stessa qualità, prodotta però in provincia di Firenze, dove le quotazioni passano infatti a 108-123 mila euro per ettaro. Andando verso sud scendono i valori, che trattano in media trai 20 e i 40 mila euro per ettaro. È il caso, per esempio, dei vigneti Doc di Orvieto così come del Doc della zona di Montefiascone, in provincia di Viterbo. Stessa situazione per i vini marchigiani, lucani o campani, mentre le vigne presentano un valore superiore alla media. In particolare, i vigneti Doc dei Castelli Romani i cui prezzi variano tra i 77 mila e i 140 mila euro per ettaro, a fronte dei 60-80 mila euro dei vigneti Doc dei Colli Albani. Nonostante la scarsa liquidità e le transazioni sempre più rarefatte, il valore dei vigneti italiani sembra comunque ancora un ottimo investimento. “Malgrado la crisi, negli ultimi due o tre anni i prezzi dei vigneti non hanno visto bolle speculative e anzi, hanno mantenuto inalterato il loro valore in tutte le zone d’Italia”, continua Povellato. “E ciò perché spesso a comprare vigneti non sono speculatori ma agricoltori, gente di campagna che preferisce investire nella terra i risparmi senza velleità di moltiplicare in breve tempo il denaro immobilizzato”. E questo grazie soprattutto alle grandi agevolazioni fiscali di cui possono beneficiare gli imprenditori agricoli professionali sull’acquisto di vigneti o di terre da coltivare rispetto al puro investitore. La normativa prevede infatti che sulle transazioni di terreni o vigne si paghi un’imposta di registro pari al 15% dell’importo della transazione, a cui si aggiunge un 2% a titolo di imposta ipotecaria e l’1% di imposta catastale. Al tutto va aggiunta l’imposta di bollo. Situazione molto diversa nel caso in cui l’acquirente sia invece un piccolo imprenditore agricolo. In questo caso, l’imposta di registro e quella ipotecaria sono fisse, non in percentuale al valore della transazione. L’imposta catastale resta invece l’1% ma si è esentati dall’imposta di bollo. Ancora più conveniente il caso in cui si decida di optare per il compendio unico, ovvero “l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti Ce 1257 e 1260/1999”. Una volta di fronte al notaio, l’imprenditore agricolo dovrà dichiarare l’intenzione di avvalersi delle agevolazioni fiscali a patto di assumere un vincolo decennale al mantenimento dell’integrità fondiaria. In tal modo la legge consente all’imprenditore di evitare in toto il pagamento delle tasse.

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