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Italia Oggi

Vigneti liberalizzati. L’Europa si spacca ... Italia, Francia e Spagna sono contro... Una rivoluzione che porterà a una crescita indiscriminata delle produzioni di vino, anche Doc. È il giudizio comune di Italia, Francia e Spagna arrivato dal convegno di Federdoc che si è tenuto a Firenze, all’Accademia dei Georgofili. Categorico Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Efow, la federazione europea dei Vini di Origine e di Federdoc: “L’Ue deve rivedere le proprie previsioni. L’abolizione del diritto di impianto avrà un effetto devastante sulle aziende della nostra realtà. Il diritto di impianto è l’elemento principe per il mantenimento del valore di una impresa agricola, è un importante strumento di controllo e gestione del potenziale produttivo e non si avranno gli effetti di autoregolamentazione che dice l’Ue”. I pericoli della deregulation prevista dalla Ocm vino dovuto attuazione del regolamento 479/2008 con la liberalizzazione dei diritti d’impianto dei vigneti in Europa a partire dal 2015, crea di fatto le premesse per una crescita indiscriminata delle produzioni, anche delle Doc. Gli effetti, stimati da Federdoc, potrebbero essere devastanti, con probabili aumenti delle superfici vitate da 61mila ettari a 120mila per la Côtes-du-Rhône, da 60mila ettari a 350mila per la Rioja e da 17mila ettari a 35mila per il Chianti. “La liberalizzazione totale avrebbe conseguenze drammatiche sul settore dei vini di qualità, tra cui sovrapproduzioni e conseguenti crolli dei prezzi, delocalizzazioni e perdita dei posti di lavoro, industrializzazione del prodotto e perdita della qualità. A tutto questo si somma l’abbassamento del valore patrimoniale dei terreni che già è in atto”, ha evidenziato Ricci Curbastro. Ma Giuseppe Aulitto, direttore generale delle Politiche Comunitarie ed Internazionali di Mercato del Mipaaf, pensa che non sarà facile far cambiare idea alla Ue. “Non vedo grandi margini di manovra, potremmo riprendere le argomentazioni in fase di stesura della relazione conclusiva e in questa occasione fare le nostre pressioni”. Il “no“ alla deregulation è arrivato anche da Pascal Ferat, membro di Cnaoc, confederazione francese dei vini Do e presidente del “Syndicat Général des Vignerons de la Champagne”. “In sessant’anni di regolamentazione siamo riusciti ad avere crescita sia per i produttori, sia per i commercianti, sono cresciute qualità, volume di bottiglie commercializzate, fatturato. Questo dimostra che una regolamentazione ben organizzata non è antieconomica”. Ferat ha portato l’esempio di regioni come Cognac e Bordeaux dove non si è applicata la regolamentazione e dove, “in venti anni si sono avuti turbamenti economici a scapito dei produttori. A Bordeaux il mercato vede prezzi che vanno da qualche euro a centinaia di euro a bottiglia”. Il rappresentante francese ha sottolineato, infine, come “la Champagne, che ha raggiunto il massimo della produzione, ha in atto una revisione dell’area a denominazione. La liberalizzazione è per noi una minaccia per i nostri equilibri, ci impedirà di rivedere la l’area di produzione”. Parole che sono condivise da Fernando Prieto Ruiz, presidente della Cecrv, la federazione spagnola dei Consorzi di tutela dei vini e vice presidente di Efow: “Il nostro è un no totale alla liberalizzazione. Gli effetti vanno dallo spostamento della popolazione, alla delocalizzazione dei vigneti, dall’impoverimento del territorio vocato, al cambio di paesaggio. Se ci sarà la liberalizzazione saranno privilegiate soltanto le zone maggiormente redditizie, quelle con una resa maggiore. Nella zona della Roja si perderà molto valore rispetto all’attuale”.

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