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Italia Oggi

La concorrenza monopolistica del vino è a rischio con la globalizzazione ... Joan Robinson, economista inglese dell’Università di Cambridge, nel 1933 coniò il termine concorrenza monopolistica. Lo scopo della cattedratica era quello di mappare situazioni di mercato nelle quali la concorrenza non poteva essere perfetta tra le diverse imprese. In particolare, si crea una situazione di concorrenza monopolistica, quando la singola impresa dispone, per ragioni di specificità del prodotto, di localizzazione o per altro ancora, di una sua rendita posizionale che la mette al riparo dalla concorrenza altrui. Può, quindi, fissare prezzi e conseguenti margini industriali in maniera diversa. Si è sempre in presenza di una moltitudine di imprese diverse tra loro e libere di entrare ed uscire dal mercato e perfettamente informate, ma sono rese diverse dalla specificità del prodotto che commercializzano, perché lo stesso ha qualche elemento che lo differenzia da tutti gli altri agli dei consumatori. Non più quindi concorrenza perfetta tra le molte imprese, ma l’emergere di un arcipelago di imprese monopolistiche rispetto alla propria offerta. Il mercato del vino, fatto di Terroir, di tanti vitigni, di Docg, si avvicina moltissimo all’ipotesi della struttura competitiva studiata dalla Robinson. Se ogni vitigno o addirittura ogni singola etichetta è percepita come distintiva dal consumatore, allora vuol dire che l’impresa produttrice può prezzarla sfruttando la rendita del monopolista e quindi oltre il costo marginale di produzione. Anzi in questo caso il produttore di vino può beneficiare del guadagno dato dalla differenza tra prezzo di vendita e costo medio. Se effettivamente il mercato del vino è un contesto di concorrenza monopolistica, allora le imprese del settore potrebbero essere più che soddisfatte e dormire anche sonni tranquilli potendo contare su extraguadagni sicuri nel tempo. Rimane da capire se e quanto la differenza tra i prodotti offerti rimanga valida nel nuovo contesto di consumo globale, dove i consumatori dei paesi emergenti e di nuova ricchezza potrebbero essere molto meno sensibili o interessati a pagare un prezzo diverso per un dato Terroir. Se nella testa dei cinesi il vino verrà massificato sotto la classificazione di pochi grandi vitigni internazionali, ad esempio, allora vorrà dire che, almeno in Cina, la concorrenza tra produttori vinicoli sarà perfetta e non più monopolistica. E lo stesso ragionamento potrebbe valere per tutti i nuovi mercati di consumo a livello internazionale. Del resto un conto è la storia e la propensione ai consumo e a pagare un prezzo specifico per il singolo vitigno di un consumatore europeo, che da molti secoli convive culturalmente con il vino e le sue molteplici diversità, altro conto è capire quanto sensibili alla diversità di offerta potranno essere i consumatori indiani o messicani. Si tratta, ovviamente, di una specie di terra incognita per il mercato mondiale del vino ed è anche possibile che la numerosità dei nuovi consumatori favorisca una massificazione della domanda che nel vecchio mondo vinicolo non si è potuta manifestare. Se così fosse, passare da una situazione di concorrenza protetta al mare aperto potrebbe essere non proprio agevole per i produttori italiani, che già sono costretti a confrontarsi con la nuova dimensione proposta dalla globalizzazione. Un ulteriore esempio di quanto possa essere rischiosa nel prossimo futuro la polverizzazione produttiva del Belpaese enologico.

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