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Italia Oggi

Troppo debito nel comparto vinicolo. Ma il ministro Romano sbaglia misura ... Soltanto il campione Medio-banca, rappresentativo delle ottanta più grandi imprese vinicole non cooperative italiane, è indebitato per circa 1,1 miliardi di euro verso il sistema bancario. Significa che quando si scende ancora più in basso nella dimensione media dell’impresa enologica la situazione si fa anche peggiore. Le troppo piccole aziende vitivinicole hanno di fatto una sola fonte di finanziamento, il credito bancario, solitamente garantito dal valore dei terreni posseduti. Un settore davvero peculiare quello del vino: frammentato ben oltre la dimensione ottimale, indebitato solo con le banche e spesso garantito nei mutui dal valore di terreni non facilmente liquidi ed esposti al ciclo della volatilità dei prezzi. Adesso che i tassi di interesse tornano a salire, nel corso del solo 2011 la Bce ha già incrementato due volte il tasso di sconto per un valore percentuale complessivo che segna un rialzo del +50%, la sostenibilità del debito del settore vinicolo torna a farsi non facile. Anche perché nel frattempo la marginalità industriale del settore è stata spinta verso il basso dall’azione di due fenomeni congiunti: la globalizzazione e la crisi economica. Come uscirne? Nella manovra appena approvata dal governo è prevista una norma che prevede una “ristrutturazione forzata” del debito in termini di scadenza e di tassi praticati in favore delle imprese vinicole e a svantaggio delle banche prestatrici. Come tutte le norme top-down che prescindono dalle dinamiche contrattuali del mercato è una decisione di dirigismo economico ed in quanto tale non utile a risolvere i problemi strutturali del settore, che avrebbe, invece, bisogno di essere forzato ad andare oltre la situazione attuale. Le imprese vinicole devono aprirsi, al pari delle imprese attive in altri settori produttivi, alla pluralità delle fonti di finanziamento. Accrescere la capitalizzazione media del comparto in termini di equity, cioè di capitale di rischio, scoprire la possibilità di raccogliere risorse anche tramite lo strumento obbligazionario, favorire le condizioni per l’ingresso nel settore di fondi di investimento e la quotazione in borsa o nei mercati regolamentati delle imprese di dimensioni più importanti, sono questi i veri obiettivi finanziari che dovrebbe darsi un Ministro dell’agricoltura riformatore. Meglio, molto meglio sarebbe stato se la manovra avesse previsto una norma per ridurre la tassazione sul rendimento normale del capitale azionario del comparto vinicolo oppure agevolazioni periodali sull’aliquota del reddito di impresa del settore vitivinicolo finalizzata a favorire la concentrazione e la crescita dimensionale del settore. Una disciplina fiscale di favore, in pratica, per le operazioni di fusione e acquisizione concluse nell’arco, ad esempio, di un triennio dalle aziende del comparto. In questo modo sarebbero state incentivate le singole decisioni imprenditoriali e favorito un sano processo di consolidamento industriale dell’enologia italiana ancora pericolosamente frammentata. Scaricare tutto o quasi il costo dell’indebitamento del settore sui bilanci delle banche produce una sorta di illusione finanziaria. Ci si convince che le banche faranno credito a condizioni migliorative ma, nella realtà, recupereranno i maggiori costi sopportati per altre vie ritraslando sulle stesse imprese il costo della ristrutturazione. In Italia il vero problema è che mancano grandi imprese vinicole in grado di fare finanza in condizioni di normalità. Interesse di ogni governo dovrebbe essere quello di favorire una sana crescita dimensionale non quello di varare norme che sparano nel mucchio senza avere alcun chiaro obiettivo industriale.

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