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Italia Oggi

Rating non profit, anche nel vino … La recente decisione di Moody’s di ridurre al rango di titoli spazzatura le obbligazioni portoghesi ha scatenato un’insolita reazione istituzionale. La Cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo ministro delle finanze hanno bollato la decisione dell’agenzia di rating americana come ingiustificata e chiesto maggiori controlli e nuove regole sulle stesse agenzie, una critica alla quale si sono rapidamente accodati il numero uno della Commissione Ue e vari membri di governo e commissari europei. È un po’ come se le ultime decisioni delle monopolistiche agenzie di rating americane avessero fatto traboccare l’acqua dal vaso già colmo da tempo. Ma come si potrebbe uscire dall’impasse rating condizionato dal permanente conflitto di interesse di chi lo assegna? In maniera relativamente semplice affidando la produzione del giudizio sul livello di rischiosità dei vari asset ad organizzazioni senza finalità di lucro, meglio se sovranazionali. Il rating, del resto, è un atipico bene pubblico, perché gli effetti del giudizio possono influenzare le politiche di allocazione del capitale e perfino di formazione del risparmio. Quindi esiste un interesse collettivo a che lo stesso rating venga prodotto con le procedure più trasparenti possibili e da organizzazioni senza alcuna finalità di guadagno dallo svolgimento del servizio. Il massimo possibile della qualità e terzietà assommati. Questo risultato sarebbe agevolmente realizzabile in almeno tre distinti modi. In primo luogo affidando ad una neo costituita agenzia dell’Onu o del Fmi il compito di produrre il rating per tutti gli asset economici aventi quantomeno un impatto sulla politica economica. Questa agenzia sovranazionale pubblica avrebbe così la missione esclusiva di produrre, senza ricavarne alcun pagamento, rating periodici per tutte i titoli del globo e verrebbe finanziata dai vari paesi tramite i contributi annuali versati agli organismi internazionali. Alternativamente una agenzia di rating non profit potrebbe essere proposta da uno o più consorzi di università internazionali che riceverebbero un compenso pubblico annuo per il lavoro di valutazione svolto. Infine, potrebbero essere promosse anche da privati delle fondazioni no profit finalizzate a produrre rating, organizzazioni capaci di sostenere i costi di gestione grazie al rendimento del patrimonio ricevuto in donazione per finanziare l’oggetto sociale. Per far uscire il bene rating dall’angolo in cui si è cacciato, caratterizzato dai permanenti conflitti che caratterizzano le agenzie private per la necessità di quest’ultime di realizzare profitti, la via della creazione di varie organizzazioni no profit specializzate è probabilmente quella migliore. In questo modo tutto il mercato acquisirebbe un livello di trasparenza nella valutazione dei processi decisionali che oggi è altrettanto carente. Quale informative aggiuntive inserite in quale modello o sistema di valutazione hanno fatto sì che Moody’s prendesse proprio questa settimana una decisione tanto drastica sulla qualità dei titoli del Portogallo? In un mondo nel quale tutte le informazioni rilevanti sono a portata di click odi touch screen permane una curiosa asimmetria informativa proprio nel caso del rating. Il giudizio che viene assegnato produce importanti effetti sull’andamento dei mercati e sulle decisioni di investimento ma il modo con il quale si forma rimane molto “proprietario”. Data la rilevanza degli interessi globali imballo è giunto il tempo di fare del rating un bene pubblico affidato ad organismi no profit sovranazionali. E qualcosa di analogo sarebbe utile prendesse forma anche nel vino. Il rating in questo caso è rappresentato sui giudizi annuali dati alle etichette prodotte. Chi assegna i punteggi alle diverse cantine solitamente guadagna soldi dalla vendita dei giudizi stessi o con altre attività ancillari. Meglio sarebbe se delle fondazioni non profit totalmente indipendenti svolgessero questa attività periodica di valutazione della bontà del vino.

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