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Italia Oggi

Vendemmia -13%. la recessione ristruttura il settore ... Per la prima volta il quantitativo di uva raccolto con l’ultima vendemmia si è avvicinato alla soglia dei 40 milioni di ettolitri. Un calo a doppia cifra, pari al 13% medio nazionale, che segnala come anche nel settore vitivinicolo il lungo ciclo recessivo o di debole ripresa, iniziato nel 2007, abbia lasciato il segno. Certo, quello del vino è un comparto da sempre in eccesso di offerta e dove quindi una minore produzione contribuisce a riequilibrare il rapporto tra domanda ed offerta. Ma è altrettanto vero che, un calo a doppia cifra, effetti meteorologici a parte, che comunque ci sono, deve essere analizzato per capire quanto ciò segnali una tendenza strutturale del settore. Se, cioè, almeno una parte della contrazione del comparto e della produzione annua sia legata alla decisione di diversi produttori marginali, che prima della crisi erano già a livelli insoddisfacenti di redditività, che ora hanno deciso di cessare la produzione. In questo caso si tratterebbe di una notizia positiva, perché la minor produzione sarebbe tutta riferibile a cantine di minor qualità e con scarse risorse per promuovere il proprio prodotto, quindi si avrebbe una riqualificazione di lungo termine della offerta del comparto vinicolo italiano dove minor quantità annua prodotta si tradurrebbe in una miglior qualità media complessiva. Quindi tutt’altro che una cattiva notizia. Una evoluzione che spingerebbe ancora di più nella direzione dell’aggregazione dimensionale, favorendo una successiva fase di fusioni ed acquisizioni tra cantine ed aziende del comparto. Rimane il fatto che una minor quantità prodotta può produrre effetti di trasferimento sul prezzo medio di vendita laddove i produttori si ritrovano a pagare di più il prodotto base a parità di costi unitari di produzione medi. Quello vinicolo è un comparto nel quale i costi fissi sono la normalità e quelli variabili una parte dei costi complessivi e tra questi quello più significativo è legato proprio all’acquisto delle uve. Nel caso in cui la minor vendemmia dovesse trasferirsi sul prezzo pagato dal produttore, questi non potrebbe non traslarlo a sua volta sul consumatore finale aumentando il prezzo di vendita di quel che basta per lasciare la sua marginalità target invariata. Se così fosse, il calo del prodotto a doppia cifra della vendemmia 2011 lo pagherebbero, in parte, anche i consumatori finali, che tra qualche mese troveranno sugli scaffali bottiglie ed etichette con un prezzo leggermente aumentato. Difficile, comunque, pensare che ciò accada in Italia, dove la domanda aggregata è ancora debole e il potere di acquisto delle famiglie crollato al livello di 11 anni fa. Assai più probabile che invece il fenomeno si manifesti i alcuni mercati di esportazione. Comunque il calo del 13% nella produzione 2011 va letto come il segnale di una possibile svolta strutturale del comparto che, approfittando dell’eccezionalità della congiuntura economica, oggettivamente la più difficile dal secondo dopoguerra, si traduce in una evoluzione strutturale della filiera produttiva. Meno aziende marginali o poco qualificate e più imprese attrezzate per reggere le difficili e globali sfide che attendono il vino nei prossimi anni. Saranno le strategie di marketing e le risorse finanziarie a produrre il successo o meno delle
aziende vitivinicolo negli anni a venire. Se la crisi ha favorito la chiusura di qualche stabilimento in perdita o di qualche fabbrica non reddituale non è certo una notizia che deve preoccupare, l’importante è che chi è rimasto in piedi rafforzi la sua strategia di offerta.


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