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Italia Oggi

Servono più M&A nel vitivinicolo italiano ... Il merger and acquisition crossborder, cioè le operazioni di fusione e acquisizione transfrontaliere, sono state sempre poche nel comparto enologico. Un fatto curioso data la dimensione ormai globale del business del vino. Per questa ragione è molto interessante l’operazione appena conclusa da Constellation Brands, il leader mondiale del settore con quasi il 5% del mercato e un fatturato anno di circa 4 miliardi di dollari, che ha comprato il 100% della Ruffino, azienda storica del Chianti in Toscana. Pagando 50 milioni di euro, il colosso americano ha assegnato all’impresa italiana un valore pari ad una volta le vendite 2010, che sono state di 54 milioni. Questi numeri sono indubbiamente una buona notizia per gli operatori del comparto, perché certificano sul campo che i multipli per determinare l’enterprise value delle migliori imprese vitivinicole hanno, almeno finora, saputo resistere al ciclo economico avverso iniziato nel 2007. Un dato che, per di più, può essere utilizzato come parametro di riferimento da aziende analoghe per operazioni di finanziamento con banche o fondi di investimento e quindi molto utile in una fase di quasi credit crunch. Se il valore delle imprese del vino è pari ad una volta il fatturato, allora questo è il parametro che le stesse banche possono utilizzare per decidere le pratiche di concessione del credito. Ovviamente occorre tener conto della specificità della singola transazione: Ruffino è un’impresa già grande per la dimensione standard del mercato italiano e quindi in qualche modo sconto un premio “dimensione” nel prezzo pagato, senza contare il fatto che il valore dell’avviamento rappresentato dall’etichetta varia di caso in caso. Infine il valore economico è anche correlato con la zona di produzione che lo ribalta in qualche modo sulla singola impresa produttrice. Nonostante tutto il settore del vino rimane poco attraversato dalle passioni del M&A e dalla finanza straordinaria. In 25 anni, tra il 1980 e il 2005, quindi nella stagione aurea prerecessione quando il ciclo economico è stato espansivo, nel mondo del vino a livello globale sono state perfezionate 1.265 operazioni di fusione e acquisizione: il 48% delle vendite complessive hanno interessato l’Europa, il 21% si sono perfezionate in Oceania, il 15% in Nord America e l’8% nell’Europa dell’Est. Una cinquantina di operazioni all’anno in un periodo tanto lungo, un quarto di secolo, in un settore che rimane molto frammentato non segnalano sicuramente una febbre internazionale da operazioni straordinarie. Perché c’è così poco M&A nel vino? Per almeno tre ragioni. Perché il capitale assorbito da ogni singola operazione è notevole; perché la capacità di generare cassa da parte del business non consente un utilizzo ampio della leva finanziaria; perché l’integrazione crossborder delle imprese è meno facile di altri business pesando di più, nel vino, le specificità culturali regionali che agisce come un freno sulle operazioni transfrontaliere aumentandone il rischio specifico a causa della minor facilità di conseguire le sinergie attese. Ed agisce come freno al M&A anche la diffusa proprietà familiare. Poter continuare a incassare un discreto o buon dividendo annuo garantito dalla solita gestione di sempre rappresenta una peculiare rendita posizionale. Senza dover faticare oltremisura il proprietario può percepire un rendimento interessante peraltro trasferibile nel tempo agli eredi e protetto dalla specificità della produzione vinicola. In economia soltanto l’innovazione spiazza le rendite, ma nel vino è molto meno facile.


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