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Italia Oggi

L’alcol piace al 65% degli italiani ... Uomini in testa. Germania primo importatore dei nostri vini ... Federvini brinda agli italiani che consumano bevande alcoliche: ovvero, il 65% della popolazione. Nell’assemblea della federazione, svoltasi ieri a Roma, è stato presentato uno studio Nielsen commentato dal sondaggista Renato Mannheimer, che ha illustrato il trend del consumo italiano: stabilizzato rispetto agli anni scorsi, dopo aver visto un calo di 4 punti percentuali dal 2008 al 2010. L’alcol resta una passione prevalentemente maschile, perché le donne invece sono attratte da un consumo più “facile” (miscelato, poco alcolico).
Nel complesso la concentrazione dei consumatori di alcolici è maggiore nelle fasce centrali di età (soprattutto 35-44 anni) e presso gli over 65. Il luogo principale di consumo di bevande alcoliche rimane la casa (propria, 83%; di parenti e amici, 55%) seguita da ristoranti 49%, pub e bar 25%. Il modello di consumo di alcolici in Italia resta “moderato”: per lo più si bevono 1 o 2 bicchieri per occasione di consumo: 4 italiani su 10 conoscono i caratteri dello stile mediterraneo come approccio al bere. Uno stile di consumo “responsabile”, la cui conoscenza è certamente più diffusa nelle fasce di età più mature (41% tra i 45-54, 38% tra i 55-64) e in contesti socio-economici più istruiti (46% tra i laureati, 41% tra i diplomati), ma che può contare su una discreta conoscenza anche dei più giovani (37% tra i 25-34,31% tra i 17-20). La tipologia dei consumatori prevede gli “affezionati”, che rappresentano il 18% dei frequentatori (pari al 10% della popolazione). L’happy hour è per loro un appuntamento almeno settimanale. Sono per lo più giovanissimi (16-24enni) e spesso studenti. Si tratta quasi di un rito: spesso nello stesso giorno della settimana e nel posto di fiducia (di solito il pub); rigorosamente con gli amici, bevendo preferibilmente un cocktail alcolico. Quindi gli assidui, ovvero il 26% dei frequentatori (pari al 15% del campione totale), sono coloro che si concedono l’happy hour un paio di volte al mese. Sono per lo più i 25-34enni, ceto impiegatizio. Per costoro l’happy hour è sperimentazione di luoghi sempre diversi; preferiscono le enoteche e talvolta le birrerie; e la bevanda preferita è tipicamente il vino. Infine gli occasionali, la gran parte della popolazione (56% dei frequentatori, ossia il 33% del totale), che sono coloro che vanno all’happy hour più raramente, al massimo 1 volta ogni 3 mesi. Sono meno giovani (per lo più 35-54enni) e spesso residenti al Sud e nelle Isole. Di solito si lasciano trascinare da altri anche nella scelta del luogo, ma preferiscono i bari caffè o anche i circoli/club. Per loro, più che la rete amicale, i compagni di happy hour sono il partner o la famiglia. La bevanda preferita? Per lo più analcolica.
Tra le nazioni più attente ai vini italiani, c’è la Germania di Angela Merkel (7 milioni di ettolitri) e il Regno Unito (3 milioni), mentre in ambito extra europeo le esportazioni si sono concentrate soprattutto verso gli Stati Uniti (+36% in valore) con gli spumanti, e in Cina, con una quota di export pari a 66 milioni di euro. Nonostante gli eventi drammatici del 2011, il Giappone ha registrato un +17% nelle importazioni di vini, mosti e spumanti. Durante l’assemblea annuale di Federvini il presidente Lamberto Vallarino Gancia ha affermato che “questi dati ci danno forza e ci confortano pur sapendo di operare in un contesto molto difficile. Vorremmo vedere le istituzioni più attente alle esigenze delle imprese che intendono accedere ai mercati esteri. È arrivato il momento di scommettere seriamente sul made in Italy, visto il peso indiscusso che ha nell’economia nazionale, soprattutto considerando l’impulso che può determinare sullo sviluppo”. Un primo punto di partenza, secondo Federvini, dovrebbe essere la immediata operatività della nuova Agenzia per la promozione all’estero. L’altro elemento di novità ricordato nel corso dell’assemblea riguarda le misure di controllo sulle denominazioni d’origine e sulle indicazioni geografiche protette, che stanno per essere definite con un nuovo decreto del ministero delle politiche agricole. E per Gancia “si deve inoltre evitare che regole e documentazioni diventino eccessivamente costosi ed incidano troppo sul prezzo finale del prodotto”.

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