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Italia Oggi

Rischi di colonialismo digitale ...
Gli stati Ue non devono
diventare “colonie
digitali delle
piattaforme internet
mondiali, tutte di origine e
nazionalità americana”, e la
vicenda dei domini “.wine” e
“.vin” è “emblematica delle insufficienze
del quadro attuale”
di governante della rete. Così
la settimana scorsa il ministro
dell’economia francese
Arnaud Montebourg ha
risposto a un’interrogazione
parlamentare riguardo alla
controversia sull’assegnazione
dei domini internet “.orine” e
“.vin”. Una vicenda che, a pochi
giorni dalla scadenza della
proroga concessa dall’ente
che gestisce l’assegnazione dei
domini (ICANN), sembra ancora
lontana dalla soluzione. I
colloqui tra i privati promossi
dall’Icann, con i produttori di
vino che chiedono minime tutele
contro il cybersquatting
da un lato, e le tre società che
corrono per ottenere le estensioni
dall’altro, non stanno
funzionando. Anche perché la
controversia diventa sempre
più affare di stato. Per i grandi
paesi produttori di vino la faccenda
è sempre più simbolo di
una rete che comincia a soffrire
la governante a centralità
Usa. “Francia, Italia, Spagna e
Commissione Ue”, ha ricordato
Montebourg, chiedono “che
i vini a indicazione geografica
siano difesi” nella procedura
di assegnazione dei domini
“.orine” e “.vin” per promuovere “un modello di governane
della rete diversificato e contro
il monopolio”. Schierati
con gli europei ci sono anche i
produttori dei paesi del nuovo
mondo vitivinicolo, americani
in prima fila. Chiedono tutele
per evitare l’accaparramento
dei nomi di dominio o denominazioni
famose a scopo di luero,
teoricamente possibile con
l’assegnazione “libera” delle
estensioni “.wine” e “.vin”. Il
governo Usa non vuol saperne
e fa pressioni sull’Icann e
sulle tre imprese richiedenti
perché rifiutino le proposte
europee. Lo scontro è parte
di un dibattito molto più ampio
sul futuro di internet, che
comprende anche il ruolo degli stati nell’Icann, fino a
oggi puramente consultivo.
La decisione di
liberalizzare le estensioni
allungando la
lista delle tradizionali
“.com”, “.org” ecc. ha
aperto un calderone di
rivendicazioni. Dentro
ci finiscono quelle dei
paesi che per i propri
viticoltori vogliono una
tutela minima del
principio di territorialità
riconosciuto
anche dal Wto, ma
anche le pretese di stati
autocratici come l’Arabia
Saudita che si battono contro
l’assegnazione del dominio
“.gay”. Tra le due cose c’è
una bella differenza ma, nella
fase attuale, con i governi a
mostrare i muscoli, rischia di
passare inosservata.

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