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Italia Oggi

Un fumetto svela il vino naturale … Libri e bottiglie, computer e bicchieri, disordine creativo. E’ sabato mattina, la redazione romana di Porthos, la rivista del vino “indipendente da sempre”, è aperta, come la sottostante cantina, piena di cataste di vino naturale, totem di Sandro Sangiorgi, il fondatore. L’ultimo numero di Porthos risale al 2011. “Il prossimo uscirà entro l’estate”, promette Sangiorgi. Vero o no, ora le energie di Sangiorgi e della sua ciurma, sono incanalate sul mondo dei fumetti (oltre che sui corsi di iniziazione e studio dei vini). Troneggiano nella redazione scatole con migliaia di copie de “Gli ignoranti”, successo francese di Étienne Davodeau: 288 pagine (25 euro il costo) di parole nelle nuvole ed essenziali disegni in bianco, nero e mille grigi.
La storia è semplice: Étienne, disegnatore conosciuto in tutto il mondo per i suoi reportage a fumetti, non sa nulla di vino; Richard Leroy, celebre produttore bio della Loira, non sa nulla di editoria. Trascorrono un anno insieme, tra vigne e tipografie. Un’educazione reciproca e al tempo stesso un modo per raccontare il mondo dei vini e quello dei libri. Il disegnatore impara a potare e a scegliere una barrique; il vignaiolo assistere alla messa a punto di stampa con il lentino contafili. Un viaggio comune all’origine delle cose. Si immergono nell’altrui lavoro, un modo - è il messaggio di questa grapich novel - per capire la qualità di un’opera artigianale. E l’ignoranza a cui si richiama il titolo, è salutare, perché rende liberi da pregiudizi. “Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”: lo sostiene, citando Montaigne, il filosofo Edgar Morin. Nel fumetto una degustazione di vini del 1989 si conclude con Étienne che vuota nel lavandino l’unica bottiglia che gli “dice meno”. Il vignaiolo ride: “E’ stupendo con quelli che non ne sanno nulla. Per non pochi ‘intenditori’, ciò che hai appena fatto sarebbe un sacrilegio”. Era un vino da centinaia di euro “e tu, da ignorante, ti autorizzi a non amarlo”. Quando il disegnatore fa leggere al vignaiolo le storie del premiatissimo Alan Moore e dei suoi supereroi di Watchmen, la reazione è identica: Richard si annoia e si addormenta.
Capitolo dopo capitolo, il libro diventa un reportage sul mondo di un produttore che rinuncia alla chimica per la biodinamica. Dalla potatura lenta e precisa (“Si fa di tutto per mantenere il controllo sul proprio lavoro il più a lungo possibile, ma nello stesso tempo lasciare un vero spazio al caso, all’imprevisto, alla natura”, spiega Richard) alle etichette prive del logo bio (“Voglio che le persone bevano i miei vini perché sono buoni e basta”) fino all’impatto con un inviato dell’americano Robert Parker. Si aggira nella cantina privo di curiosità e passione, pensando ai voti ai vini in centesimi, punteggi che esprimono, riflette Richard, “il pensiero dominante”, in cui terroir, clima, lavoro del vignaiolo, “passano in cavalleria. Ma una bottiglia di vino sarà pure diversa da un compito di matematica!).
In comune Davodeau e Leroy hanno la difesa dell’indipendenza e, scrive Sergio Rossi nelle pagine finali, “l’etica del fare che si trasmette attraverso il piacere di un bicchiere di vino, o la lettura di una storia ben scritta”.
Se potesse, Leroy farebbe leggere Morin a Robert Parker: “Per capire la qualita’ di un buon vino non bastano le caratteristiche organolettiche, la gradazione. In un bicchier di vino ci sono la storia, la cultura, i simboli, oltre alla fisica e alla chimica”.

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