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Italia Oggi

Mezzo secolo d’amor di vino … Ci sono vini che si sono profondamente trasformati, trovando la chiave di volta per affermarsi sul mercato. Altri invece che hanno ottenuto successo rimanendo il più possibile uguali a se stessi. Tutti però sono passati nel 1986 dallo scandalo del metanolo, vero spartiacque per il vino italiano; e tutti hanno dovuto fare i conti negli ultimi decenni con il calo generalizzato dei consumi che ha costretto a ricalibrare le politiche commerciali e di marketing per intercettare le nuove tendenze.
Le 50 candeline spente quest’anno dal Vinile parole di Andrea Ferrero, “il vino è cambiato molto e sono cambiati enormemente i consumi”. Secondo il direttore del Consorzio di Tutela del Barolo Barbaresco, “il fenomeno del metanolo è stato il vero punto di svolta”, perché da quel momento “si è iniziato a bere facendo molta più attenzione alla qualità e sono aumentati i controlli ”. Per un prodotto d’eccellenza come il Barolo di Barbaresco, venduto per 1’80% all’estero, “è stato fondamentale non stravolgere il modo di fare vino, mantenendo una produzione di nicchia e grande qualità per tutelare la denominazione. I nostri produttori hanno sempre tenuto la barra dritta, il Barolo è sempre rimasto il Barolo, sia 50 anni fa quando ha ottenuto la prima doc italiana, sia oggi con molti più competitor”. Un territorio dove il vino ha conosciuto “grandi cambiamenti non solo nella produzione ma anche sui mercati” è inoltre quello dell’Alto Adige; là fino alla fine degli anni 70 le cantine erano concentrate su rossi leggeri della varietà Schiava venduti soprattutto in Svizzera, Germania e Austria. Complice una crisi di quei mercati, lo scenario è mutato. “È partita un’offensiva basata sulla qualità”, spiega Max Niedermayr, presidente del Consorzio Vini Alto Adige, “si è iniziato a ridurre le rese e a coltivare varietà di bacca bianca, capendo che la zona era molto adatta alla produzione di vini bianchi. Nello stesso tempo, è iniziato a crescere il settore turistico”. Morale della favola, oggi più del 60% dei vini prodotti sono bianchi e il mercato interno copre il 77% della produzione.
Anche gli incrementi quantitativi hanno accompagnato questi 50 anni. Lo sanno bene al Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella, dove si è passati da 1,2 milioni di bottiglie (in gran parte Recioto) dei primi anni 70 ai 13,5 milioni di oggi, perlopiù Amarone. “La Denominazione è cresciuta per numero di bottiglie e di qualità scalando la piramide qualitativa dal Valpolicella al Ripasso e all’Amarone”, spiega Christian Marchesini, presidente del Consorzio. “I produttori hanno raggiunto una maggiore consapevolezza e, con la crescita delle aziende imbottigliatrici (orinai 275), è cresciuta la propensione a far maturare l’Amarone affinandolo in cantina per un tempo più lungo”. Pertanto, la tendenza “è quella di ricercare nel vino una maggiore eleganza e finezza riducendo il residuo zuccherino”. Se c’è poi un vino alle prese con “una difficile transizione”, questo è il Lambrusco che - come spiega Carlo Piccinini, vicepresidente della Cantina Sociale di Carpi e Sorbara “sta cercando di passare dalla categoria cosiddetta daily, che cioè si consuma tutti i giorni, a vino più slegato dai pasti”. A differenza di altri, il Lambrusco ha conosciuto un boom tra gli anni 70 e 80, soprattutto negli Stati Uniti dove ha fatto da apripista per altri vini italiani, mentre adesso che si apre a nuovi mercati come Messico e Caraibi, si reinventa nei consumi. Senza dimenticare quanto le innovazioni, sia negli impianti che in cantina, abbiano influito nel far sì che “il Lambrusco di oggi è mediamente di verso da quello di 15 anni fa”. Affondano proprio negli anni 60 le origini del successo del Brunello di Montalcino, a quando “si sancivano le regole con cui tutti da allora lo avrebbero prodotto ed invecchiato per 5 anni, prima di metterlo in commercio”, come sottolinea Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio Vino Brunello di Montalcino. “In questi 50 anni”, continua. “la produzione ha unito le forze di grandi aziende e piccole, storiche e nuove in una sola strategia vincente”. Inoltre, “è stata affinata la tecnica produttiva, migliorati i cloni di Sangiovese utilizzati per la produzione, affinato il marketing... ma il vino è rimasto lo stesso. Un grande prodotto da sole uve Sangiovese, da consumare oggi ma anche da bere tra 50 anni”, e che dalle 200 mila bottiglie prodotte da 40 viticoltori nel 1966 è passato ai 9 milioni di oggi con 250 produttori.

“Negli ultimi 50 anni il vino italiano ha fatto passi da gigante in termini di crescita qualitativa del prodotto ma anche di consapevolezza del consumatore. Per le Marche e il Verdicchio”, commenta Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, “parliamo di un cambiamento
“culturale” epocale se si pensa che il successo internazionale negli anni 60 e 70 dell’anfora di Maionchi era legato a un vino fresco, giovane e poco alcolico, il contrario delle caratteristiche che rendono oggi il Verdicchio il bianco più premiato d’Italia e un vino identitario e competitivo sui mercati”. Chi infine riaccenderà i riflettori sullo scandalo del metanolo come “punto di cambiamento epocale” è José Rallo di Donnafugata. “Fu una frattura”, continua, “che mise in crisi il vecchio sistema, liberando nuove energie e nuove idee, più attente a recuperare il valore e l’esperienza produttiva di alcuni territori. Una riscoperta che ebbe al centro il lavoro e l’esperienza di alcune famiglie del vino, soprattutto in Sicilia”. Inoltre, continua, “quello scandalo aveva cambiato l’atteggiamento culturale degli italiani sul vino. Si aprì una stagione straordinaria per i “nuovi territori” e la Sicilia ne era l’alfiere. In poco più di 20 anni i vini di fascia solare hanno raggiunto traguardi allora inimmaginabili”.

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