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Italia Oggi

Crescono i vini del Nuovo Mondo ... La wine industry italiana, piccola cosa rispetto alle grandi maison francesi e ai colossi californiani, australiani e cileni, in tutti questi anni di “rinascimento vinicolo” ha fatto della qualità la sua unica vera arma di battaglia. Soprattutto sui mercati internazionali dove la partita si è sempre giocata dimensioni economiche a parte perché i nostri volumi produttivi non hanno mai fatto paura a nessuno - sui vari segmenti dell’alto di gamma. Mai, però, ci si è preoccupati - né i produttori italiani né i vignobles francesi - dei vini del Nuovo Mondo, degli Chardonnay californiani, dei Syrah cileni, dei Sauvignon australiani. Grandi volumi, bassa qualità. Milioni di bottiglie di “daily wine” a meno di cinque dollari. Era così fino a pochi anni fa. Ma ora sta cambiando, anzi è già cambiato. Lo provano le statistiche e le strategie dei due grandi colossi mondiali del vino, il gruppo E&J Gallo (che ha l’esclusiva dei vini Allegrie in Usa) e il gruppo

Constellation (che ha acquisito, quattro anni fa, le cantine Ruffino in Toscana).

Le statistiche, come spiega a ItaliaOggi un consulente di grande esperienza come John Moramarco, una lunga carriera di direttore commerciale alla Constellation, fotografano una lenta ma continua evoluzione del vino californiano dal segmento “daily” al segmento “premium”. “La percentuale dei vini sotto i cinque dollari” chiarisce Moramarco “si è dimezzata negli ultimi anni e oggi non rappresenta più del 30% del mercato. Per contro la quota dei vini a più di 10 dollari è arrivata al 30% e continua a crescere”. Insomma, gli americani stanno imparando a bere, capiscono la differenza tra i vitigni, sanno scegliere al supermercato e, per conseguenza, la loro wine industry aggiorna le sue strategie produttive.

Non più solo cabernetsauvignon e chardonnay, i vitigni-base della produzione di massa, ma un “mélange” di vitigni non standardizzati dal punto di vista biologico, come il Syrah o la Grenache (originari della Valle del Rodano, in Francia) che vengono trattati in cantina da tecnici ed enologi esperti. E in atto, in sostanza, quella che uno studioso francese di geografia enologica (materia di studio all’università di Bordeaux, ça va sans dire), Raphael Schirmer, definisce la “complexifccation du vignoble”, che è l’esatto contrario della omogeneizzazione produttiva che è stata la chiave del successo della wine industry californiana già al momento del suo “take-off” negli anni 80. Il “fly to quality” per dirla nel linguaggio del marketing o la “montée en gamme” per dirla con gli enologi francesi è diventato il nuovo motore dello sviluppo della viticoltura californiana che, oggi, va alla ricerca di aziende specializzate, di nicchia (sempre in rapporto al gigantismo del settore) e di nuovi impianti di trasformazione. È il caso del gruppo E.& J. Gallo, il primo produttore di vino al mondo, un miliardo di bottiglie e un fatturato stimato di 7-8 miliardi di dollari (il gruppo non è quotato e non fornisce dati economici: si sa solo che il suo ceo, Joseph E. Gallo, pronipote del fondatore, ha un patrimonio personale di 4 miliardi di dollari secondo il mensile Forbes).

Il gruppo Gallo (che, in passato, ha venduto in Usa anche i vini della trentina Cávit) ha acquisito un enorme vigneto nella Sonoma Valley, l’altro distretto enologico della California dopo la più celebre Napa
Valley dove ha investito nei suoi anni buoni anche Gianni Zonin. Un vigneto da cui nascono i vini con il marchio “Souverain”, un mélange di Cabernet Sauvignon e

Merlot di alta qualità.

Non è stato da meno il suo concorrente, il gruppo Constellation, il terzo produttore al mondo (quotato in borsa e quindi più trasparente: 6,6 miliardi di dollari di fatturato, un ebitda di 1,9 miliardi di dollari e un utile netto di un miliardo) che, solo pochi mesi fa, ha acquisito i vini col marchio “Prisoner”, considerato in Usa il primo marchio del segmento “super- luxury” (oltre i 25 dollari a bottiglia) e quelli con il marchio “Meiomi”, i migliori Pinot neri d’America (oltre i 20 dollari a bottiglia). Perché questa crescita qualitativa dei vini californiani deve preoccuparci? Perché non risponde solo a un affinamento della domanda interna, ma comincia già a proiettarsi sull’export, sui tradizionali mercati di sbocco della wine industry americana, la Gran Bretagna, il Giappone, la Svizzera, in competizione diretta con gli italiani e i francesi. Questi ultimi, poi, debbono fare i conti anche con i cileni, che l’anno scorso, per la prima volta, li hanno superati sul mercato giapponese.

La prossima sfida è l’immensa Cina: “A questo ritmo” annuncia il responsabile della promozione dei vini cileni in Asia, Julio Alonso “potremmo cominciare a tallonare la Francia nel suo mercato estero più importante”. Oggi, in Cina, la Francia è al primo posto con una quota del 45%, seguita dall’Australia con il 23% ma la concorrenza cilena insidia i vecchi campioni dell’export.

L’Italia da queste parti non esiste quasi, ha quote assolutamente marginali. Ma sui suoi mercati di riferimento - dalla Gran Bretagna alla Germania agli stessi Stati Uniti - dovrebbe cominciare, anch’essa, a preoccuparsi. Il Nuovo Mondo del vino sta cambiando ancora. E in meglio.

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