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Italia Oggi

La Wine finance torna di moda … È la finanza partecipativa, consente di raccogliere capitali per nuovi progetti in tempi di crisi... Spuntano piattaforme di raccolta forali specializzate in vino... “Chez nous, l’argent a une odeur et une saveur” (a casa nostra il denaro ha un odore e un sapore), dice scherzando a ItaliaOggi Maxim me Debure, ingegnere agronomo ed enologo ma anche banker ed esperto di gestione finanziaria: insomma l’esatto contrario del celebre broccardo latino “Pecunia non olet”. Perché i quattrini consegnati a questo brillante personaggio dell’enologia francese, uno che ha imparato a fare il vino in Australia e nelle cantine della Napa Valley, California, e poi s’è riciclato per un periodo nella finanza e nelle start - up, hanno odore e sapore: sanno di buon vino visto che l’investitore viene ripagato in bottiglie. Questo specialissimo “pay out”, per usare un termine borsistico, è anche un modo per guadagnare - sono ancora parole di Debure - ben di più del 4% garantito dal Livret A, il libretto vincolato al portatore che in Italia quasi non esiste più, mentre qui in Francia, mercato finanziario arretrato e protetto, è ancora uno degli strumenti preferiti dalle famiglie. L’invenzione dell’enologo - finanziere si chiama WineFunding ed è, per farla breve, una piattaforma di crowdfunding, raccolta fondi, dedicata esclusivamente al settore del vino e concepita, ecco la novità, come equity, prestito o prevendita. Per ora la piattaforma prevede due opzioni: la prevendita (reward crowdfunding), con cui l’impresa vinicola raccoglie fondi sotto forma di anticipazioni di cassa da rimborsare in natura (in altre parole, si paga in anticipo per una selezione di vini che saranno spediti ogni anno per un periodo da 2 a 5 anni); e il finanziamento vero e proprio (equity crowdfunding). In quest’ultimo caso gli investitori acquisiscono una partecipazione diretta in una società vitivinicola e, in cambio, ricevono dividendi e/o capital gain (oltre alle bottiglie, si capisce). In meno di un anno WineFunding, che dispone anche di un “consiglio di supervisione” (oltre al consiglio d’amministrazione composto da gestori ed esperti di finanza) con alcuni dei maggiori esperti, come Dominique Laporte, sommelier pluripremiato, e Michel Bettane, co - creatore di una delle maggiori guide mondiali sul vino, il Bettane & Desseauve (a cui si ispira il nostro Gambero Rosso) ha raccolto 500 mila euro (il 90% in conto capitale) investiti in cinque progetti di marketing vinicolo e da cui ci si attende grandi risultati. Che è anche l’aspettativa di FundiVino, altra società di raccolta fondi con una trentina di progetti in cantiere e l’ambizione di quotarsi, prima o poi, al segmento Euronext della Borsa. Per dirla in una parola, è esplosa la moda della “wine finance”, investire nel settore vitivinicolo (aziende agricole e cantine) nella convinzione che il vino possa essere un investimento alternativo non disprezzabile, un modo per guadagnare qualcosa di più del famoso Livret A di cui parlava prima Debure. Per questo alcuni hanno aguzzato l’ingegno e hanno ripescato dal codice civile francese certi vecchi contenitori giuridici come il Gfv, Groupe foncier viticole, o la Scie, Societé cooperative d’intérét collectif, che ben si prestano alla raccolta fondi e al pagamento di dividendi (anche se è inesatto definirli così) azzerando qualsiasi pressione tributaria. La prima fattispecie, il Gfv, consente di investire nell’acquisto dei terreni e di affidarne la gestione a viticoltori salariati o a mezzadri. La seconda è un tipo di cooperativa senza fine di lucro, strumento utilissimo per intervenire nelle aziende vinicole in difficoltà e con scarso circolante per ricapitalizzarle. Per esempio, la cantina Les Crus Faugè-res, Linguadoca - Roussillon, in crisi, ha trovato il modo di finanziarsi creando un Groupe Foncier che ha raccolto 300 mila euro tra i suoi clienti e li ha investiti nell’acquisto di 17 ettari di vigneto. E lo stesso ha fatto la cantina Rhonéa, nella regione di Beaumes de Venise, in Provenza, che ha utilizzato 700 mila euro raccolti tra clienti e “wine lovers”, appassionati dei vini della Provenza, come leva per ottenere cinque milioni di finanziamento che serviranno ad acquistare nuovi vigneti. Paradossalmente la crisi della vendemmia 2017 (quasi il 20% di raccolto in meno: si veda ItaliaOggi dell’11 ottobre scorso) ha riattivato il canale della finanza alternativa, riscoperto modalità diverse per intercettare i denari che servono a rimettere in sesto i vigneti distrutti dal gelo (è il caso del Beaujolais, per fare un esempio) o ad avviare iniziative commerciali e di market erano state sempre rinviate dai prudenti (e conservatori) vignerons tanto bastava il fatturato dei conferimenti. Ora non così e allora la “finanza partecipativa” può venire in aiuto.

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