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Italia Oggi

Basta con i trionfalismi … L’analisi del presidente Assoenologi, che seguirà gli autoctoni per Coldiretti... Cotarella: vini italiani azzoppati dai prezzi bassi... “Ci sono centinaia di produttori diretti che vanno in vigna tutti i giorni e che, alla fine dell’anno, esigono che venga riconosciuto
loro un reddito che li ripaghi delle fatiche e dei sacrifici. E non sempre succede. Nel mondo del vino non possiamo fare riferimento soltanto alle grandi aziende, quelle strutturate che chiudono i bilanci in positivo”. A fine mese Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, porterà Falesco, la sua
azienda a cavallo tra Lazio e Umbria dentro Coldiretti. Quasi sicuramente avrà anche un ruolo all’interno del sindacato, tanto che per il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, dirigerà un ufficio “per nobilitare, rendere aristocratici, i vini autoctoni che esprimono i diversi territori del vino”. Ma per Cotarella, sentito sul punto da ItaliaOggi, è ancora presto per parlare di
progetti. “È ancora tutto da definire, è prematuro parlare dei mie rapporti con Coldiretti”.

Domanda. Parliamo allora dei produttori diretti. Sono importanti per il sistema vino italiano?

Risposta. I piccoli vignaioli sono delizia e dolore. Ma non sono le grandi aziende ad aver fatto il Rinascimento del nostro vino. In molte zone, quelle considerate non vocate, sono stati proprio i piccoli produttori ad accendere la luce.

D. Dunque occorre dare reddito ai piccoli?

R. Il basso reddito, quello che non copre neppure le spese di gestione della vigna ai produttori diretti, porterà a una riduzione del vigneto Italia. Se non garantiamo ai giovani che il lavoro nella
viticoltura possa produrre un reddito comparabile a quello di altre professioni, non ci si potrà meravigliare che le loro scelte vadano, in futuro, in altre direzioni.

D. Il reddito dipende anche dal prezzo del vino, quello italiano è molto basso?

R. Spesso ci esaltiamo per certi traguardi raggiunti; siamo il paese con la più alta produzione di vino. Ma questo non deve generare illusioni sulla situazione reale. È vero: produciamo più vino al mondo, ma con un valore nettamente più basso di quello francese. Veniamo paragonati al Nuovo
Mondo, quando si parla di di valore. È qui che dobbiamo lavorare molto. Ancora non valorizziamo con il prezzo tutti gli aspetti culturali, di tradizione, di tipicità del nostro vino. Ma c’è anche
altro. È vero: siamo il paese che esporta di più; ma questo perché con i nostri prezzi bassi, vendiamo anche durante i periodi di crisi. Non appena la crisi rallenta, i francesi ci superano, anche per quantità. E questo è inaccettabile, devono essere presi provvedimenti.

D. Produrre tanto ha ripercussioni sul prezzo?

R. I prezzi bassi spingono a produrre di più. E questo, a sua volta, va a dica del prezzo stesso e della qualità. In termini economici, i nostri vini sono sottodimensionati rispetto ai valori reali che racchiudono. È davvero un grosso limite! Ridere e cantare per il primato della produzione lo trovo discutibile.

D. I produttori diretti sono in grado di fare qualità?

R. Tutti sono in grado purché lo vogliano; la cultura non è per pochi, ma chi la vuole. Se le grandi cantine hanno un team interno, i piccoli produttori hanno a disposizione sul mercato consulenti, enologi, studi tecnici che possono dare le indicazioni giuste.

D. In tutto questo quadro, il lavoro dell’enologo è sempre più importante?

R. Oggi l’enologo è chiamato a rispondere a 360 gradi della produzione di un vino, dalla vigna, alla cantina-produzione, alla comunicazione. E spesso deve rispondere anche della commercializzazione.

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