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L’EXPORT TIRA MA IL VINO ITALIANO PUO’ MIGLIORARE ANCORA LE SUE PERFORMANCE, FACENDO SQUADRA E AUMENTANDO IL SUO PREZZO PER ALLINEARLO IL PIU’ POSSIBILE CON QUELLO DEI FRANCESI. CONFAGRICOLTURA METTE A CONFRONTO LE RICETTE DI PRODUTTORI E ESPERTI

L’export tira ma per migliorare le performance dei vini italiani sui mercati esteri servono strategie comuni e percorsi condivisi di promozione, fare sistema è importante ma non deve essere limitarsi ad essere solo un motto, ed è anche necessario che il prezzo dei nostri prodotti aumenti allineandosi il più possibile con quello dei nostri cugini francesi. E’ l’atout, lanciato oggi a Vinitaly, nel convegno organizzato da Confagricoltura dal titolo “Vino italiano: terapie anti-spread”.

Secondo l’organizzazione, nonostante l’export, il sistema Paese è ancora debole rispetto ai principali competitor. A dimostrarlo sono i dati del 2011: 4,4 miliardi di euro di fatturato, con un +12,3 % di valore e +9,1% di volumi. Il prezzo medio a litro è tuttavia ancora basso: 1,80 euro rispetto, ad esempio, ai 4,60 della Francia. Anche nella classifica mondiale dei vini di fascia di prezzo più alta non compaiono quelli italiani, nonostante l’eccellenza di molte produzioni. La forbice tra qualità e prezzi spuntati si allarga per le produzioni di livello: gli acquirenti stranieri rimangono infatti confusi dalla presenza di vini comuni venduti a prezzi elevati, mentre si trovano sugli scaffali vini Docg a poco più di 1 euro.

Il presidente di Confagricoltura Mario Guidi ha spiegato che “le strategie per uscire da questa impasse e aumentare il valore delle nostre produzioni all'estero si basano su più fattori. Occorre un sistema-Paese che accompagni adeguatamente le iniziative commerciali delle nostre aziende. E’ necessario favorire la partecipazione delle imprese, anche quelle meno strutturate, per rafforzare l’immagine e la percezione del vino italiano nel mondo”.

Altra questione le politiche per il settore che “devono essere sviluppate dagli imprenditori, che ogni giorno affrontano il mercato, e non dal Ministero o dal mondo della politica a cui chiediamo invece strumenti adatti per aumentare la nostra competitività”. Secondo Confagricoltura pur mantenendo salda la posizione leader nell’ambito dell’export mondiale, con il 22% delle quote e oltre 24 milioni di ettolitri venduti, l’Italia commercializza ancora molto vino sfuso a prezzi bassi: la media è di 0,31 euro al litro, che sale a 1,45 euro per il vino comune esportato in bottiglia; a 2,21 per quello Igt e a 3,59 per le Doc e Docg. Nel corso dell’iniziativa il presidente dell’Oiv, considerata l’Onu del vino, Federico Castellucci, ha fornito una panoramica sul vino a livello mondiale.

La superficie vitivinicola nel mondo, ha ricordato, nel 2011 è diminuita di 94 milioni di ettari, attestandosi a quota 7495. La produzione è stata di 265 milioni di ettolitri con un aumento dello 0,6% rispetto al 2010, mentre il consumo mondiale è stimato in 241,9 milioni con un calo di 1,7 milioni. Secondo l’Oiv, nel 2011, l’Italia ha conseguito il miglior risultato degli ultimi 30 anni in termini di esportazioni, la Germania è in testa ai paesi che apprezzano il made in italy, mentre in Russia è proseguita la crescita dell’export di spumanti (+34%). Per Lucia Lorenzoni (Area research di Mps), che ha inventato il “Wine index”, “nell’ultimo semestre 2011, il nostro indice è cresciuto e questo vuol dire che le nostre esportazioni sono cresciute. Per il futuro a preoccupare è, però, la recessione in Italia e il rallentamento economico a livello mondiale che porterà a minori consumi”: secondo Lorenzoni, “nel 2011, l’aumento della quantità delle vendite ha trascinato anche il valore del nostro export, specie per quanto riguarda i paesi dell’Unione Europea, e negli ultimi mesi è cresciuto il prezzo dei nostri vini comuni ma non quello dei vini di fascia più alta”. Quanto al 2012 “le esportazioni continueranno a crescere ma non vedremo un aumento dei prezzi del vino”.

Poi la parola è passata ai produttori. Gianluca Bisol ha ripercorso i successi che da decenni ottiene la sua azienda e il Prosecco più in generale, ed ha messo in guardia dai rischi legati ad un effetto distorto delle denominazioni e a “tendenze autoreferenziali che creano tensioni sui prezzi facendoli aumentare. Nel territorio del Prosecco quello prodotto in pianura mantiene verso il basso il prezzo della bottiglia. Non abbiamo un effetto denominazione”. Per Bisol è comunque necessario “fare sistema e sarebbe utile che le cantine fossero obbligate per legge a stare dentro un consorzio e fare promozione insieme”. Anche Angelo Gaja ha voluto prendere la parola: “ho timore - ha detto - dei discorsi sul bisogno di fare rete, ho timore dei leit motiv, perché questi concetti rischiano di diventare un luogo comune. Non siamo un’armata Brancaleone, la squadra c’è già ed è formata da settemila esportatori che cercano di costruire la domanda e la costruiscono per tutti”. Altra questione, ha aggiunto Gaja, “il prezzo del vino che va fatto crescere. Bisogna imparare a creare valore aggiunto” e poi ancora “bisogna smarcare l’immagine del nostro vino da quella dei superalcolici e di soft drink. Il vino del resto lo si produce da 9.000 anni”.

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