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La cantina, architettura di sintesi tra vino e territorio: 40 anni di rivoluzioni

Il lavoro dell’architetto al servizio dell’enologo e delle necessità della viticoltura nella tavola rotonda firmata Terra Moretti

Il rapporto tra architettura e mondo del vino è ben più complesso di come lo può narrare l’avvento delle archistar che, comunque, dagli anni Novanta hanno firmato le cantine più belle del Belpaese e del mondo, contribuendo a fare dell’enologia un driver ancora più attraente per il turismo di territorio, all’insegna, ovviamente, dell’equilibrio e dell’integrazione con la vite e con il paesaggio. Bisogna fare attenzione, però, a guardare tutto sotto la giusta luce, perché l’architettura ha iniziato a mettersi al servizio del vino, e più precisamente delle necessità degli enologi, ormai da tanti anni, ed in effetti, come hanno ricordato dalla tavola rotonda “La cantina, architettura di sintesi tra vino e territorio”, organizzata a Vinitaly dal Gruppo Terra Moretti, l’enologo del gruppo, Mattia Vezzola, gli architetti Smiljan Radic, che ha firmato una delle cantine più belle del mondo, quella di Vik, in Cile, e Fiorenzo Valbonesi, che negli ultimi vent’anni ha curato, tra le altre, le cantine di Bertinoro, Castello della Sala, Tormaresca e Cantina del Bruciato (Guado al Tasso) per la famiglia Antinori, la direttrice del Master in Economia del Turismo dell’Università Bocconi Magda Antonioli, il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella ed Evans Zampati, ad Moretti spa, non ha mai smesso di essere così, perché la cantina è, essenzialmente, un luogo di lavoro e di trasformazione, dove gli spazi ed il loro utilizzo non possono essere certo lasciati alla mercé, lo scriviamo ironicamente, degli architetti.
Certo, come ricorda Mattia Vezzola,
“non è sempre così, e di esempi da non seguire, negli ultimi trent’anni, ce ne sono stati molti, e questo perché spesso non si è capita la complessità della viticoltura, così come il valore del suo legame con la terra: l’architettura, in questo senso, è fondamentale per dare coerenza al pensiero. Allo stesso modo, la tecnologia non è sufficiente da sola a leggere il presente ed a prevedere il futuro, ma deve mettersi al servizio dell’enologia per permettere all’enologo di interpretare al meglio la materia prima, ossia l’uva. L’architettura, in questi anni, è stata geniale nell’aver dato soluzioni economicamente sostenibili alle necessità della produzione enologica, ma assumendo un ruolo se vogliamo artistico assai positivo: se il vino rappresenta la vigna - conclude Vezzola - deve essere rappresentato dall’arte dell’architettura”.
L’anello di congiunzione tra queste due anime, enologia ed architettura, è naturalmente in Moretti, gruppo nato proprio dal mondo delle costruzioni, e oggi griffe del vino con sei aziende divise tra tre Regioni, e che quarant’anni fa si trovò per la prima volta a dover dare una risposta alle richieste e alle necessità del mondo del vino, una storia “che oggi ci ha portato a costruire 350 aziende in tutta Italia, offrendo via via soluzioni più complesse, compresa quella di Bellavista, che ho comprato nel 1977”, come ha ricordato Vittorio Moretti, a capo della holding, che nel settore delle costruzioni fa del prefabbricato (che non vuol dire, si badi bene, pezzo standardizzato. ndr) il suo punto di forza.
“Nel 1979 abbiamo costruito il primo sistema architettonico a volte con maglia strutturale (di 6 metri per 4,8) - racconta Evans Zampatti, ad Moretti Spa - che, poggiando su 4 pilastri, garantisce la tenuta strutturale della cantina interrata anche con 6 metri di terra sopra alla copertura, mentre l’assetto di sostegno perimetrale è affidato a quinte laterali ed a quinte d’angolo, che fungono da contrasto delle spinte orizzontali”. Una soluzione che oggi appare scontata, o persino banale, ma che “all’epoca era una novità importante, era tutto allo stato embrionale, anche perché bisogna sempre considerare che i terreni enologicamente buoni sono pessimi da un punto di vista architettonico: nessuno penserebbe mai di incastonare una cantina su una collina che tende a sgretolarsi”. Negli anni, le necessità delle aziende sono continuate a cambiare, c’è stato bisogno vi via di spazi maggiori per ospitare barrique e bottiglie, ma non solo, e la soluzione è stata quella di progettare sistemi in grado di sostenere spinte ancora maggiori, arrivando quindi prima al sistema a volte 6x6, ancora oggi il più usato (arrivato nel 2000), quindi l 7x7, pensato appositamente per la barricaia della cantina di Donnafugata, in Sicilia, nel 2005.
“La nostra specificità, in tutti questi anni, è stata quella di saper trovare sempre soluzioni adeguate, in tempi strettissimi e certi, tanto che oggi possiamo dire di aver costruito cantine in quasi ogni Regione d’Italia, e non ce n’è una uguale all’altra”. L’ultima grande novità, come detto all’inizio, è stata proprio l’importanza della parte di cantina fuori terra, “quella che una volta era solo ed esclusivamente funzionale, in calcestruzzo, mentre dagli anni Novanta - aggiunge Zampatti - si iniziano ad usare materiali e forme diverse, dando libero sfogo alla fantasia, ed usando l’aspetto estetico per rappresentare, anche attraverso l’architettura, l’azienda, in comunione con il territorio, e rendendola godibile anche ai visitatori, vista la sempre crescente popolarità dell’enoturismo”.
A ribadire la centralità delle necessità dell’enologo, è il presidente della categoria, Riccardo Cotarella, usando una figura retorica: “l’architetto fa il contenitore, l’enologo il contenuto. L’input sul contenitore, e non parlo di estetica, ma di superfici e divisioni dei settori, può darla solo l’enologo, che diventa responsabile del progetto anche in sede di progettazione. Una cantina - ricorda Cotarella - è prima di tutto un luogo di lavorazione, l’estetica non deve limitarne la funzionalità e l’architetto non dovrebbe imporre le proprie idee. Il risultato, però, è sempre il frutto di un lavoro di squadra tra enologo, architetto e imprenditore, ma il progetto oggi deve stare attento ad una nuova esigenza, prima decisamente sottovalutata, l’igiene, perché in cantina si deve poter mangiare per terra”, conclude Cotarella.
La cantina, così, diventa un luogo in cui lavorare al meglio, in piena efficienza, anche ambientale, come raccontano i tanti esempi degli ultimi anni, con un occhio all’estetica, facendone a volte una vera e propria cattedrale enoica, e quindi meta privilegiata di frotte di enoturisti.
“La cantina, che trent’anni fa non era degli archistar, ma era ben più tradizionale, era il posto dove il turista entrava in comunione con il genius loci, con la terra, con la materia prima, con l’enologo e con la produzione - commenta a WineNews la direttrice del Master in Economia del Turismo dell’Università Bocconi Magda Antonioli - mentre oggi si è aggiunto un aspetto nuovo, quello di cantine particolari, create da architetti di fama internazionale, che diventano un motivo per attrarre persone interessate al design, che definirei design esperienziale, perché per noi il discorso verte sul turismo del vino, sulle persone che vogliono entrare in comunione col territorio e le sue tipicità. Il turismo del vino - aggiunge Magda Antonioli - è per sua natura in continua evoluzione, perché cambiano le motivazioni, gli interessi, e questo è molto importante, specie per quanto riguarda l’offerta da proporre in cantina”.

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