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La Cina, mercato principe d’Asia, è ancora un enigma per molti. Ma l’interesse per le eccellenze italiane, vino in primis, è sempre maggiore: tutto sta nel coltivarlo, con un marketing e una comunicazione non standardizzati. Se n’è parlato a Vinitaly

Italia
Il mercato cinese tutto da conquistare

Da “Eldorado” prossimo venturo a terra di notevoli segni meno, passando per un boom spesso “drogato” dall’uso di etichette top come regalìe per gli apparati di regime. Per molti, la traiettoria della Cina, mercato orientale per eccellenza, nel corso degli ultimi anni è tutta qui: ma lontano dalla luce dei riflettori, il consumatore cinese continua il suo approccio al vino, anche se il percorso non è certo semplice, sia per lui (o lei) che per i produttori che vogliano farsi conoscere al di là della Grande Muraglia. Ed è per questo che l’uso del marketing e della comunicazione diventa primario, anche se applicare soluzioni standard, per un mercato e un Paese che non lo sono affatto, non è sicuramente una facile scorciatoia. Se ne è parlato a Vinitaly a Verona, con l’Università Iulm e Marco Polo Experience in collaborazione con Vinitaly.

Ad aprire il panel è stato il commento di William Hutchinson, consulente ed export manager di molte realtà vitivinicole italiane, secondo il quale “un consumatore cinese medio c’è senz’altro, ed è onestamente molto interessato all’Italia”: il punto è che “ci vuole narrazione, perché anche i “colletti bianchi” che hanno studiato all’estero, spesso, non sanno cosa fa l’Italia, o anche le basi della comprensione del vino e della sua fruizione. La chiarezza è indispensabile - ha proseguito - e a mio parere il consumatore femminile è prioritario, non solo perché le donne vedono il bere come un’attività sociale, ma perché i distillati, tradizionalmente consumati dalla popolazione maschile in quantità, non riscuotono molto successo con loro, e questo rende il vino un prodotto alternativo molto valido”. Per quanto riguarda poi il rapporto con le controparti commerciali, secondo Hutchinson il punto fondamentale è l’incoming: “c’è una certa nostalgia della ruralità cinese di una volta nella mentalità odierna, e quindi anche la nostra riscuote un grande fascino. E poi così facendo si cementerà un rapporto di fiducia interpersonale, che nella mentalità cinese è fondamentale”.

Il marketing, innanzitutto, va quindi tarato sul target in questione: ma sotto il termine-ombrello della disciplina, come ricordato dall’intervento del professor Vincenzo Russo della Iulm, ci sono molte nuove frecce all’arco dello studioso, ed una è il neuro-marketing, ovvero l’analisi quantitativa (e misurabile) del ritorno emotivo ad uno stimolo, come può essere “l’assaggio di un vino, o anche solo la reazione ad un’etichetta”. Con la differenza che, grazie ai mezzi moderni, è possibile misurare questa risposta e - cosa non da poco “registrare un’eventuale discrepanza tra quello che registriamo con i mezzi e quello che ci dice l’intervistato”. Anche in presenza di codici valoriali, come quello cinese, culturalmente molto lontani dal nostro, e da quelli occidentali in generale.

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