Poco più di un anno fa, la Commissione Europea, dopo un lungo travaglio, era riuscita a presentare la proposta di modifica del “Pesticides Regulation”, introducendo un nuovo regolamento, il “Sustainable Use of pesticides Regulation” (SUR) che, in linea con il Green Deal e con la strategia Farm to Fork e Biodiversity Strategy, ha posto come obiettivi il dimezzamento dell’uso dei pesticidi in agricoltura entro il 2030 ed un’agricoltura europea libera dai pesticidi nel 2050, per ricostruire la salubrità e l’equilibrio dei suoli. La proposta, però, è stata subito ostacolata da più parti, con la richiesta, da parte di Austria, Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, di una nuova valutazione d’impatto della riforma. Richiesta sposata, a novembre 2022, anche da Italia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo e Portogallo, ossia dalla maggioranza dei Paesi UE.
Non si tratta, ovviamente, di boicottare una norma nata per un fine altissimo, come quello di salvaguardare la salubrità di milioni di ettari coltivati, tutelando le falde acquifere, la biodiversità e, in questo modo, il futuro stesso dell’agricoltura europea. Quanto, piuttosto, di frenarne l’entrata in vigore cercando di capire meglio gli impatti economici. Una necessità espressa a più riprese anche dal mondo del vino, perché in mancanza di alternative altrettanto efficaci, un taglio drastico all’uso dei fitofarmaci rischia di precipitare i campi coltivati del Vecchio Continente nell’incertezza di raccolti in balia degli eventi, con il pericolo, evidente, di dipendere sempre di più dalla casualità e dalle produzioni degli altri Paesi. A gennaio, le cooperative del vino di Francia, Italia (con l’Alleanza delle Cooperative Alimentari) e Spagna, erano tornate alla carica, e a metà maggio il Partito Popolare Europeo si è opposto apertamente al disegno normativo, sostenendo che “in troppe regioni o Stati membri l’attuazione della legislazione sulla natura esistente ha portato a un incubo burocratico e a un blocco della pianificazione, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare, la produzione di energia rinnovabile, di infrastrutture cruciali e molto altro”.
Adesso, l’iter dovrebbe riprendere il suo cammino, perché il 5 luglio la Commissione Europea ha pubblicato lo studio d’impatto complementare richiesto a dicembre dalla maggioranza dei Paesi Ue, che ha analizzato il potenziale impatto sulla produzione alimentare UE e sui prezzi di alimenti e mangimi, le potenziali conseguenze per la disponibilità di alimenti e mangimi nella UE, i potenziali impatti dell’aumento degli oneri amministrativi sulla competitività e sulla redditività delle piccole e medie aziende agricole, la disponibilità di alternative ai prodotti fitosanitari e il potenziale aumento del rischio di introduzione e diffusione di organismi nocivi nella UE, il potenziale impatto del divieto dell’uso di prodotti fitosanitari nelle aree sensibili, in particolare nelle aree urbane, e il potenziale impatto sui popolamenti forestali e sulla biodiversità dipendente dalle foreste.
La relazione, in sostanza, conferma in toto la necessità e la bontà dell’introduzione del “Sustainable Use of pesticides Regulation”, così come gli obiettivi che si pone, sottolineando anche il bisogno di affrontare questioni politiche importanti come l’attuazione inadeguata e variabile tra gli Stati membri, la mancanza di obiettivi nazionali e la necessità di proteggere le aree sensibili. “Il potenziale impatto della SUR sulla disponibilità di alimenti e mangimi nella UE e la possibilità di una maggiore dipendenza dalle importazioni, nonché di riduzioni delle esportazioni dipenderanno dal potenziale effetto sui raccolti”, si legge nel documento, che sottolinea poi come “questo deve essere visto da due angolazioni: una riduzione non gestita o mal gestita dell’uso di pesticidi può effettivamente portare a riduzioni delle rese, ma una transizione ben gestita non avrà tali effetti negativi. Allo stesso tempo, è anche chiaro che, nel medio e lungo periodo, la mancanza di impollinatori ridurrà anche i raccolti, anzi la tendenza è già visibile oggi. Va notato che gli obiettivi di riduzione dei pesticidi sono per il 2030 e questo periodo di tempo, più il tempo per l’entrata in vigore delle varie misure proposte, consente una transizione gestibile in tempistiche adeguate per introdurre alternative e apportare modifiche graduali”.
Passando agli aspetti economici, forse i più importanti, “le informazioni fornite riportano a diversi studi che già forniscono dati quantitativi sul potenziale impatto sui raccolti agricoli per i principali tipi di colture della UE se l’uso di pesticidi dovesse essere ridotto del 50%. Data la mancanza di dati empirici sull’uso dei pesticidi, gli studi sull’impatto pubblicati hanno utilizzato ipotesi di cali delle rese volontariamente sovrastimate o hanno utilizzato stime di calo della resa specifiche per coltura e regione basate su pareri di esperti, stimando che i maggiori impatti sulle rese in questi studi si verifichino in colture che hanno una rilevanza limitata per la sicurezza alimentare e dei mangimi, come uva, luppolo e pomodori”.
Proprio quest’ultimo passaggio, insieme alla totale mancanza di dati oggettivi e previsioni puntuali sul settore vino, hanno riacceso l’animosità del settore del vino europeo, che, attraverso un comunicato unitario di Assemblée des Régions Européennes Viticoles (AREV), Confédération Européenne des Vignerons Indépendants (CEVI), Fédération européenne des vins d’origine (EFOW), Comité des Organisations Professionnelles Agricoles de l’Union européenne (Copa) e Comité Général de la Coopération Agricole de l’Union européenne (Cogeca), ha ribadito di “condividere l’obiettivo generale della Commissione europea di ridurre l’uso dei fitofarmaci più pericolosi”, sottolineando però che “questa traiettoria verso una maggiore sostenibilità potrà essere rafforzata solo se gli obiettivi fissati sono realizzabili. Allo stato attuale, la proposta legislativa della Commissione Europea è irrealistica per la viticoltura, se non per mettere in discussione il futuro di questo settore nell’Unione europea”, scrivono le organizzazioni del vino, per le quali “l’approccio che scaturisce dalle conclusioni dell’analisi della Commissione è preoccupante per il futuro del settore, e suggerisce una totale mancanza di considerazione per ciò che rappresenta la viticoltura europea (in termini di contributo economico all’export, impatto sociale sui territori e peso culturale nell’identità europea). Questi dati allarmanti non tengono conto dell’impatto dei pericoli climatici (grandine, gelate, siccità, ecc.) che regolarmente si ripercuotono sulla viticoltura europea”.
Nella sua relazione complementare, la Commissione sostiene anche che “un’ampia varietà di alternative agronomiche e strategie tecnologiche consente di ridurre l’uso e i rischi dei pesticidi mantenendo le rese”. Citando quindi “uno studio americano dell’estate del 2021 in cui si afferma che il 70% dei fitofarmaci usati in viticoltura potrebbe essere eliminato mediante l’uso di strumenti per la viticoltura di precisione”. Prospettive su sui l’industria enoica europea è decisamente più cauta, ribadendo che “nonostante decenni di ricerca e sperimentazione, non ci sono ancora risposte efficaci alle malattie crittogame come la peronospora e l’oidio. La vite non ha una resistenza naturale a queste malattie e, in un’annata di alta pressione, il 100% dell’uva può andare perso in pochi giorni senza l’utilizzo di fitofarmaci. Sebbene sia in corso la sperimentazione di varietà resistenti, qualitative e rispettose delle proprietà organolettiche dei vini, si tratta di una risposta a lungo termine, che richiede tempo per ammettere le nuove varietà e poi validare questi approcci frutto di lunghi processi di ricerca”.
Il voto finale del Parlamento Ue in seduta plenaria sul “Sustainable Use of pesticides Regulation” è previsto per ottobre, ma prima sul testo sono attesi i pronunciamenti delle Commissioni Agricoltura e Ambiente, le cui votazioni sono previste, rispettivamente, per il 19 luglio e l’11 settembre. Tempi strettissimi, considerando il “semestre bianco” che, da prassi, anticipa il voto Europeo, in programma il 9 giugno 2024.
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