La Corea del Sud non è tra i principali mercati di consumo del vino, almeno storicamente, ma negli ultimi tempi è entrata a pieno titolo tra i Paesi target della promozione dei Paesi produttori, grazie ad una crescita che, nel 2019, si è tradotta in 259,3 milioni di dollari di vino importato, il 6,3% in più del 2018. Sono sempre di più i professionisti e i giovani che approcciano il vino, premiando però i produttori del Nuovo Mondo: Usa, Australia e Argentina sono cresciute del 51%, 31% e 11%, mentre la Francia nel 2019 ha perso il 3,3%.
Al boom del vino naturale, fa da contraltare la ricerca di bottiglie a basso prezzo per conquistare il canale della Gdo, come ha fatto il cileno Dos Copas, che ha raggiunto i 2 milioni di bottiglie vendute al prezzo irrisorio di 4 dollari a bottiglia. Come tutti, anche la Corea del Sud in questo 2020 sta facendo i conti con la pandemia, che il Paese ha superato quasi indenne, ma con un lungo strascico in termini di fiducia e di calo dei consumi fuori casa. Che, comunque, non hanno avuto conseguenze sul vino, unico alcolico i cui consumi sono cresciuti nel 2020, tanto che a fine agosto le importazioni facevano segnare un +9,5%.
Buona parte di tutto questo vino, per ovvie ragioni, si consuma a Seoul, prima della pandemia perlopiù al ristorante, con i gusti dei consumatori sudcoreani che premiano principalmente i rossi. Anche italiani, con i vini della Toscana al quarto posto tra le Regioni enoiche più presenti nelle carte dei vini dei ristoranti della capitale, comparendo nel 77% delle liste, come rivela il Wine Analytics della società di marketing e analisi Mibd Market. Alla posizione n. 9 i rossi del Piemonte, nel 57% delle carte, alla n. 12 quelli del Veneto, nel 47% delle wine list, alla n. 15 i rossi dell’Abruzzo, nel 44% dei menu. Sul podio, invece, i vini della Cental Valley cilena, seguita da Bordeaux e California.
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