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LA CRITICA DEL VINO ESISTEVA GIA’ NEL MEDIOEVO? A DIMOSTRARE CHE, NELL’ EPOCA A TORTO DETTA “BUIA”, ESISTEVANO METODI D’ANALISI E CHE IL VINO NON ERA VISTO COME UN PRODOTTO INDISTINTO, MA COME TANTI VINI DIVERSI: COSI’ LO STORICO YANN GRAPPE ...

Italia
Il vino era già importante nel Medioevo

E se la critica del vino, fenomeno che recentemente ha acquisito sempre maggiore importanza, fosse nata addirittura nel Medioevo? A sfatare il luogo comune che, in epoca medievale, non ci fosse attenzione alla qualità del vino, e che questo venisse considerato come un prodotto unico e con come tanti vini differenti, ci sarebbero infatti varie testimonianze, che il giovane storico dell’alimentazione Yann Grappe, dell’Università di Bologna, ha raccolto nel volume “Sulle tracce del gusto. Storia e cultura del vino nel Medioevo” (Editori Laterza, Bari), e che ha illustrato nel convegno n. 3 di filosofia del vino, organizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Slow Food: “la cosa interessante per confutare questi luoghi comuni - spiega Grappe a WineNews - non è tanto riprovare a fare un vino come si faceva all’epoca, ma indagare cosa ne diceva la gente che lo beveva davvero, analizzandone i discorsi”. E così le sorprese non mancano: “vediamo che il vino non è un prodotto comune e indistinto, ma viene proiettato in una dimensione molto diversificata” spiega Yann Grappe.

A dimostrarlo una novella del fiorentino Franco Sacchetti, composta alla fine del Trecento, riportata nel libro dello studioso, che recita: “Tanto è grande lo studio di-vino che da molto tempo, una gran parte degli Italiani si sono dati gran da fare per avere i vini più perfetti, al punto di farsi loro mandare non solo del vino ma anche dei vitigni da ogni parte”.

“E poi il vino piace, tanto è vero che vengono sviluppati - prosegue Grappe - dei metodi di analisi sensoriale molto specifici”, come testimoniano diversi testi, in primis quello di un fablieu francese del XIII secolo, lo strillone di Arras, città del nord della Francia, che per invogliare i viandanti ad assaggiare il vino della locanda lo decanta così: “il vino spillato fresco-fresco, dalla botte ancora piena, saporoso, morbido, solido e polposo, agile come uno scoiattolo nel bosco, senza alcuna traccia di muffa o acido, insaporito sui lieviti, saldo e nervoso, limpido come una lacrima di peccatore, che resta a lungo sulla lingua dei buongustai: non lasciatene niente agli altri!”. Una sorta di antica scheda di degustazione, dove non manca l’attenzione ai pregi, ma anche quella all’assenza di difetti.

Un’analisi che è legata anche ad alte discipline come la medicina, come si legge nel trattato di dietetica del medico Aldobrandino da Siena, che operava nella Francia del XIII secolo: “i vini si differenziano per colore, sostanza, sapore ed odore, a seconda che essi siano nuovi o vecchi, e in funzione delle loro diversità, essi agiscono in modi differenti nel corpo dell’uomo”.

E non mancavano concetti quanto mai attuali come quello di terroir: “questa - aggiunge lo studioso - è una cosa molto forte. In alcuni testi infatti non ritroviamo solo l’importanza dell’origine geografica, ma anche l’idea che il terreno possa conferire delle qualità particolari a un vino, un’immagine forte per un Medioevo che è visto spesso come “buio”, dove il vino sarebbe stato solo aceto”.

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