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LA “DIETA MEDITERRANEA” PATRIMONIO UNESCO? “OPERAZIONE CHE COMMERCIALMENTE PUÒ ESSERE POSITIVA, MA FATICO A COMPRENDERLA DA UN PUNTO DI VISTA STORICO E CULTURALE”. COSÌ IL PROFESSOR MONTANARI, TRA I MASSIMI ESPERTI DI STORIA DELL’ALIMENTAZIONE

“Un’operazione che commercialmente, forse, può essere utile, ma che fatico a comprendere da un punto di vista storico e culturale”. Così il professor Massimo Montanari, tra i massimi esperti di storia dell’alimentazione, spiega a www.winenews.tv le sue perplessità sulla “dieta mediterranea”, riconosciuta definitivamente dall’Unesco come “Patrimonio immateriale dell’Umanità”.
“È un’espressione che dice tutto e dice niente. Dice tutto se intendiamo uno stile di vita, che molte popolazioni dell’area mediterranea da tempi antichi condividono. Ovvero se intendiamo la “dieta” come faceva Ippocrate, che non pensava al cibo, ma allo stile di vita, al ritmo di vita quotidiano che si oppone alla fretta, al fanatismo del lavoro. Ma se ci focalizziamo sul cibo, dal punto di vista tecnico, allora non capisco più, perchè le diete mediterranee sono tante e molto diverse. E anche i Paesi che hanno iniziato l’iter, (Italia e Spagna, poi appoggiate da Marocco e Grecia, ndr), hanno dei punti di contatto, ma anche tante differenze. E tanti altri Paesi mancano, non capisco perché quei 4 e non altri. È difficile capire, dal punto di vista storico e culturale, quello che può stare dentro a questa etichetta di “dieta mediterranea” che, non dimentichiamolo, è un’invenzione nata nella riflessione medica statunitense degli anni ’50, che definisce un modello di alimentazione soprattutto per i suoi aspetti relativi alla salute. Il che va benissimo, ma anche questo è un modo di pensare la parola e il contenuto di che cosa è una “dieta” che è troppo riduttivo. Non ho gioito tanto per questo riconoscimento, perché non capisco cosa possiamo fare con questa “dieta mediterranea”, come possa giovare all’immagine dell’Italia.
Anche perché il Belpaese, in un contesto mediterraneo, ha un’identità molto forte, e non ha nessun interesse, sul piano commerciale, a confondersi in un mondo mediterraneo che, ripeto, è molto ampio e diversificato al suo interno. E credo che insistere maggiormente sull’identità gastronomica e culturale dell’Italia a noi farebbe molto più gioco. Aggiungo che, in generale, faccio fatica a capire l’operazione in sé di includere questi sistemi gastronomici e alimentari come patrimonio dell’umanità, perché significa elevare questi stili di vita e alimentari come paradigmi da esportare e proporre come modello, e questo non credo che sia corretto, perché è vero che ci sono modi di mangiare migliori di altri, più salutari di altri, però poi tutte le “diete” hanno un senso dal punto di vista culturale, fanno parte di un sistema complessivo. E non capisco, francamente, perché si debba dire che la dieta mediterranea è meglio di altre. E nello stesso tempo, mi chiedo perché, possiamo definire patrimonio dell’umanità la cucina francese, e non la cucina spagnola o quella tedesca, per esempio. Sono operazioni commerciali che dal punto di vista storico e culturale sono molto discutibili, tutte e indistintamente”.

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