Ormai da tempo i temi legati alla qualità e al valore del cibo, alla salvaguardia del pianeta ed al cambiamento climatico, sono ormai di grande attualità. I giovani sono in prima fila e chiedono risposte e anche le generazioni precedenti sono sensibili al problema. Dalla teoria alla pratica, però, la distanza può essere ampia. Ma, in concreto, questi temi quanto poi si traducono in scelte consapevoli e comportamenti corretti? Sulla questione è entrato in profondità lo studio “Food Citizenship as an Agroecological Tool for Food System Re-Design” (La cittadinanza alimentare come strumento agroecologico per la riprogettazione del sistema alimentare) effettuato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), con i suoi centri Agricoltura e Ambiente ed Alimenti e Nutrizione, appena pubblicato sulla rivista internazionale Sustainability.
Un contributo importante può arrivare dalla Food Citizenship, o cittadinanza alimentare, ovvero una maggiore interazione fra il mondo produttivo e i cittadini/consumatori per accrescere la consapevolezza dell’impatto che i diversi sistemi di produzione agricola possono avere sull’ambiente, prendendo in considerazione non solo le pratiche agronomiche, ma soprattutto il ruolo svolto dall’utilizzo di risorse naturali da parte dell’intera filiera agroalimentare e quindi dalla produzione al consumo. Il cambiamento di paradigma di cui si sente parlare, quindi, per raggiungere una maggiore sostenibilità significa ripensare e ridisegnare i sistemi agroalimentari, orientandoli verso il diritto al cibo, la valorizzazione della territorialità e la protezione degli agroecosistemi dal degrado.“Lo studio della consapevolezza alimentare dei consumatori - ha commentato Fabio Tittarelli, ricercatore Crea Agricoltura e Ambiente e coordinatore dello studio- è il primo passo verso un cambio di paradigma che porta le persone a percepire se stessi non più come semplici consumatori volti a soddisfare dei bisogni personali, ma come dei cittadini che consumano cibo, associando all’acquisto di cibo una dimensione etica e sociale a garanzia di tutti gli attori della filiera. È in questa ottica che l’implementazione del concetto di Food Citizenship può essere considerato uno strumento dell’agroecologia, utile per ri-disegnare l’attuale sistema agroalimentare”.
Lo studio, sviluppato con un questionario online di 35 domande, ha permesso di investigare su due principali tematiche: la prima riguarda il livello di consapevolezza delle conseguenze delle nostre scelte alimentari sull’ambiente, la conoscenza soggettiva percepita del cibo biologico, del costo del cibo biologico e dei fattori più rilevanti negli acquisti alimentari. La seconda ha riguardato la profilazione dettagliata del consumo di frutta e verdura biologica fresca e di quarta gamma. Al questionario hanno partecipato oltre 500 cittadini distribuiti sul territorio nazionale da Nord a Sud - rispettivamente il 43% nel Nord, il 38% nel Centro e il 19% nel Sud - e residenti soprattutto (oltre l’80%) in città piccole e grandi. Sono state intervistate principalmente donne (l’80%), nella fascia di 50-69 anni (il 60%), con un livello di istruzione medio (diploma di istruzione secondaria, il 47%) e alto (laurea, il 41%).
L’elaborazione ha permesso di individuare due principali gruppi a seconda della maggiore (il 55,4% del totale del campione) e minore (il 44,6% del totale) attitudine a riconoscere l’impatto ambientale delle proprie scelte alimentari. Il gruppo con un approccio più responsabile nei confronti dell’ambiente è risultato anche più consapevole che le proprie scelte di spesa alimentare possono ridurre l’impatto negativo sulla biodiversità e sul riscaldamento globale. Ne fanno parte le classi di età più giovani (il 9% tra i 18-29 anni e il 37,2% tra i 30-49 anni) contro, rispettivamente, il 6,2% e il 26,3% dell’altro gruppo. I più attenti alle conseguenze delle loro scelte hanno inoltre manifestato una maggiore sensibilità nei confronti degli aspetti sociali dei propri acquisti alimentari, rivelando, in particolare, una minore attrazione nei confronti delle offerte promozionali (solo il 23%, infatti, ne ha riconosciuto l’importanza, contro il 40% dell’altro gruppo), probabilmente anche perché producono effetti potenzialmente svantaggiosi per i produttori agricoli, l’anello più debole e con minore potere contrattuale nel sistema agroalimentare moderno.
I più attenti sono anche quelli che consumano più ortaggi e verdura biologiche (il 31,4% li consumano sia diverse volte al mese che diverse volte a settimana) e da più tempo (50% contro il 22,4%) e con una maggiore disponibilità a pagare un prezzo più alto rispetto ai prodotti alimentari convenzionali (76,3% contro il 67,3% sono disponibili a pagarli il 25% in più; l’8,8% contro il 2,6% anche il 50% in più).
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