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PUNTO DI VISTA

La lunga estate calda ... degli scontrini. Ma occhio ad urlare sempre allo scandalo

Certi sfizi si pagano, e i menu vanno letti. Ma certe maggiorazioni gridano vendetta e il sistema turistico deve fare attenzione alla corsa dei prezzi
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Piazza San Marco in un dipinto di Italico Brass

Alla fine della pandemia, l’emergenza per il turismo italiano riguardava la scarsità di forza lavoro. Dopo due anni di chiusure, aperture limitate ed a intermittenza, rotte internazionali quasi azzerate, in molti hanno deciso di cambiare lavoro, lasciando “scoperte” decine di migliaia di posizioni. Nell’estate 2023, invece, le prime pagine sono tutte, o quasi, per i prezzi, tra eccessi, a volte giustificabili, a volte meno, e scontrini, a loro modo, “scandalosi”. Ma procediamo con ordine, e proviamo a rimettere al loro posto le storie che stanno colorando la più bella delle stagioni, e che di certo non rappresentano un bel biglietto da visita per un comparto fondamentale dell’economia del Belpaese.

La polemica sui prezzi non è affatto nuova, come non lo è la pubblicazione sui social di scontrini esagerati, con la più che prevedibile indignazione popolare, la cui eco arriva ormai sempre più spesso alle pagine dei quotidiani nazionali. Eppure, a (quasi) tutto c’è una spiegazione ed una giustificazione. Ad esempio, i 60 euro spesi da una coppia di turisti romani al “Bar Portico”, nell’Hotel Cervo del Sardegna Resort, ossia “il fiore all’occhiello della Piazzetta di Porto Cervo”, come si legge sul sito del resort del gruppo Mariott, sono tanti, tantissimi, ma è uno di quei casi, sempre meno rari in Italia, in cui l’esclusività fa la differenza. Si paga il lusso di un luogo per pochi, e al di là del giudizio morale su certi eccessi, è buona norma leggere prima il menu (che, ancora, troppo spesso, non è esposto all’esterno dei locali), così da evitare di restare scottati.

Proprio come a Porto Cervo, le cronache, non solo di questa estate, hanno raccontato spesso di caffè salatissimi sorbiti in Piazza San Marco a Venezia. Un esempio su tutti è quello del Florian, storico e bellissimo locale veneziano, dove il menu è chiarissimo: un caffè al bancone costa 1,50 euro, in linea con il mercato. Al tavolo, le cose sono ben diverse, ma stupirsi, almeno in questo caso, è del tutto fuori luogo. I costi di gestione, a partire dall’affitto, nel pieno centro di Venezia, sono presumibilmente altissimi, e per garantire un servizio all’altezza del proprio nome e della propria storia anche il costo del personale e delle materie prime sarà più alto che altrove. Senza considerare il valore, non monetizzabile, di un caffè al tavolo in Piazza San Marco, tra le più belle ed iconiche al mondo, non solo in Italia.

Non sono questi, a ben guardare, i veri “scandali”. Ma ciò non significa che alcune scelte siano, obiettivamente, scandalose, o comunque poco comprensibili. Come quella di un ristoratore che, per un piattino vuoto, ha aggiunto allo scontrino un sovrapprezzo di 2 euro. Una quisquilia, certo, ma difficilissima da mandare giù per una madre che voleva condividere le proprie trofie con la figlia. La ristoratrice (non staremo a fare nomi) ha spiegato il senso dei 2 euro: il lavoro in più per i camerieri, in un tavolo che, alla fine, ha condiviso due piatti in tre persone. Comprensibile, facendo uno sforzo, perché il lavoro va sempre remunerato, ma è comunque difficile da accettare. Del tutto inaccettabile, invece, è la conseguenza diretta che queste storie, popolarissime sui social, innesca nella vita reale: il “review bombing”, ossia la corsa alla recensione negativa sui siti dedicati alla ristorazione, capaci di affossare un’impresa, grande o piccola che sia, per uno scontrino...

Non è l’unico caso di un sovrapprezzo che ha fatto discutere: le ultime raccontano di una maggiorazione di due euro, in un bar di Gera Lario, nel Comasco, per dividere un toast, e di 50 centesimi in più per un cubetto di ghiaccio nel caffè in un altro bar, questa volta a Pesaro. E attenzione a non farsi prendere la mano, perché si rischia di cadere nel tranello: è di qualche giorno fa lo scontrino di due pizze a 235 euro in un ristorante di Catanzaro, peccato che “Le Catanzaro” fosse il nome di un ristorante di Marrakech, e che il conte fosse in Dirham (ossia, meno di 22 euro).

Situazioni grottesche, che non vanno confuse, come in molti hanno fatto, con altre, che segnano invece un cambio di passo, se non addirittura di epoca. Come i 20 euro in più per sporzionare una torta in un ristorante di Palermo: per quanto strano, una torta di compleanno portata dall’esterno rappresenta un mancato introito per il locale, a fronte di un servizio comunque effettuato. È, in sostanza, la stessa identica cosa del diritto di tappo, ossia la pratica di portare al ristorante una bottiglia di vino acquistata altrove, pagando al ristoratore una somma corrispondente al servizio, alla stappatura, al lavaggio di bicchieri e decanter. Cose che non fanno storicamente parte della ristorazione italiana, ma con cui è ormai consuetudine fare i conti, specie in un momento economicamente complesso come quello che stiamo attraversando.

Ovviamente, allargando lo sguardo dalle singole storie al contesto più generale, l’estate 2023 ha mostrato diverse criticità, specie sul fronte dei prezzi. L’analisi del quotidiano eocnomico “IlSole 24 Ore”, che ha sottolineato un calo del 30% delle prenotazioni da parte degli italiani nelle mete turistiche, ha fatto cadere il velo su un problema enorme e strutturale: l’inflazione, che ha contribuito in maniera determinante alla crescita dei prezzi, rendendo inaccessibili luoghi che, solitamente, erano sempre stati alla portata di tutti. In mezzo, evidentemente, c’è un altro limite dell’economia italiana: gli stipendi medi e quindi il potere d’acquisto, in calo ormai da 20 anni, mentre il resto delle economie occidentali continuano a crescere. In questa cornice il divieto al cibo portato da fuori, voluto dagli stabilimenti pugliesi, non poteva fare altro che scatenare le polemiche, e così, comprensibilmente, è stato.

Del resto, i prezzi troppo alti, ben al di sopra dell’inflazione, non fanno bene al sistema turistico, come ha voluto sottolineare uno dei più grandi chef del Belpaese, Gianfranco Vissani: “questo è il primo Ferragosto che viviamo senza l’assillo del Covid, ma è un Ferragosto sottotono. Le famiglie italiane soffrono la situazione economica che stiamo vivendo, fare spesa è diventato un lusso, e poi mancano gli stranieri che arrivavano dall’est Europa e, in particolare, i russi. Stanno uccidendo il turismo italiano, non è possibile pagare una camera 1.600 euro a notte. I clienti li dobbiamo trattenere, invece così fuggono dal nostro Paese e lo fanno gli stessi italiani che preferiscono andare all’estero perché pagano meno”. Ma Vissani ne ha anche per la querelle scontrini, che definisce “una provocazione, utile solo a far parlare, io non lo avrei mai fatto. ll rincaro dei prodotti è folle,  ma noi abbiamo deciso - aggiunge - di andare in controtendenza e, quindi, ribassare i prezzi del nostro ristorante anche del 25%”.

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