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La pandemia cambia anche il mercato delle chiusure: la Gdo spinge il tappo a vite

Premiumisation e sostenibilità sostengono le vendite dei tappi in sughero. A WineNews il punto di vista di Amorim Cork, Vinventions e Diam
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Il mercato delle chiusure, come cambia dopo la pandemia

Tra il 2019 e il 2021, con la pandemia, le chiusure ed il crollo dei consumi fuori casa, è cambiato anche il modo di bere vino, molto più spesso a casa che al ristorante o al bar. Largo, quindi, alle bottiglie acquistate al supermercato, dove, più che i prodotti premium, trovano ampio spazio gli entry level, i vini di bassa gamma che, spesso e volentieri, ricorrono al tappo a vite, chiusura che, ormai, è stata sdoganata anche nella Vecchia Europa. Una tendenza fotografata plasticamente dall’ultima “Drinks Market Analysis” dell’Iwsr, che ha mostrato come in questo periodo (2019-2021), la quota complessiva dei vini (fermi) chiusi con il tappo a vite è passata dal 31 al 33% (dal 30 al 32% in Europa), arrivando al 36% tra gli scaffali di Gdo, enoteche e negozi. Un cambiamento di lungo respiro, guidato dai consumatori più giovani e meno legati alla ritualità del tappo in sughero, ma anche dalle mode. Che, però, non va ad intaccare troppo le quote dei tappi monopezzo in sughero, forti di una premiumisation che neanche la pandemia ha frenato, né dei tappi tecnici. Il quadro che emerge dalle parole dei maggiori player del settore - Carlos Santos, ad Amorim Cork Italia, Filippo Peroni, European Sales & Marketing Director Vinventions, e Paolo Araldo, distributore in Italia dei tappi Diam - è quello di una “geografia” delle chiusure che sta piano piano superando le differenze storiche tra Vecchio e Nuovo Mondo, verso una scelta sempre più libera da preconcetti, dettata dalle esigenze enologiche dei produttori e dalle richieste di un mercato giovane e aperto alle novità, ma anche attento alla qualità ed al packaging, con lo screw cap, molto più economico del tappo in sughero, è più che altro alle chiusure sintetiche che rosicchia quote di mercato.
“Stiamo assistendo ad un fenomeno legato essenzialmente ai canali che stanno spingendo le vendite in questo periodo - dice Carlos Santos, ad di Amorim Cork Italia - oltre che ai mercati a cui ci riferiamo. Oggi il consumo dei vini italiani chiusi con il tappo a vite è soprattutto legato all’export ed ai mercati emergenti, dove la facilità di apertura della bottiglia è qualcosa che viene apprezzato più del rituale del tappo in sughero. In un periodo in cui il canale Horeca soffre, e la Gdo va forte, chiaramente vanno di più i vini di consumo quotidiano, che si trovano sullo scaffale e che, specie sul mercato americano, costano anche qualcosa in meno della media. Questo fenomeno del tappo a vite, a livello globale, va quindi associata al trend di consumo che, nell’ultimo anno e mezzo, si è spostato dall’Horeca al mondo della grande distribuzione”.
C’è, però, un altro fattore da tenere in considerazione, come spiega ancora Carlos Santos.
“Questa pandemia ha causato una sorta di downgrade di quella che è la qualità delle chiusure. Noi oggi vendiamo molte più chiusure per prodotti di consumo medio e veloce rispetto alle chiusure destinate ai vini di lunga permanenza in bottiglia, perciò, nonostante una crescita spaventosa, il mix dei nostri prodotti premia di più lo scaffale del ristorante, ed è questa tendenza che poi si riflette anche sulle chiusure, specie in mercati come quello australiano o americano che non sono legati alla nostra ritualità. Per questo, d’altro canto, il tappo a vite in Italia ancora non decolla: per noi un vino che non abbia la ritualità dell’apertura con il cavatappi è quasi impensabile, perché associamo la qualità del prodotto al tappo in sughero. Anche se non è così, perché oggi il tappo a vite è una chiusura molto efficace. C’è poi un altro aspetto da considerare, il trend del packaging premium: bottiglie un po’ più pesanti, l’etichetta curata, il tappo di qualità. La tendenza è quella di andare sempre più verso l’alta qualità, anche nel mondo degli spirits, dove il packaging è sempre più ricercato ed esclusivo. Oggi il prodotto vale di più se il packaging è di pregio, e se il mondo va verso la premiumisation, il tappo a vite non avrà un grande futuro, nonostante la sua efficacia. Nel segmento dei vini sotto i 30 dollari a bottiglia, in Usa, la percezione del cliente che non è un consumatore di vino abituale, è quella di un vino di maggiore qualità se chiuso con il tappo in sughero. Su un prezzo medio di 11 dollari a bottiglia, quindi il segmento basic, il tappo in sughero vale un dollaro in più: la chiusura è un driver nella scelta del consumatore, ma comunque il mercato oggi è talmente grande che c’è posto per tutti, ma di certo la sostenibilità e la premiumisation saranno due aspetti fondamentali nella scelta dei consumatori”, conclude l’ad di Amorim Cork Italia.
“Sicuramente, in questo periodo, il retail ha guidato i consumi e la crescita, che si sono spostati su prodotti entry level, innescando una tendenza favorevole al tappo a vite anche su quei mercati che, finora, rispondevano meno, come l’Italia, dove, fino a poco tempo fa, era una soluzione vincolata all’export. È in atto un cambiamento tra i consumatori - racconta, a WineNews, Filippo Peroni, European Sales & Marketing Director Vinventions - che stanno piano piano accettando un prodotto diverso, aiutato anche dal cambio generazionale. Anche quello delle chiusure, però, è un mercato che segue le mode, c’è da capire quanto quest’onda sarà lunga. Il tappo a vite va in competizione con qualsiasi chiusura, è una dinamica di approccio al mercato, ci sono produttori che sono passati direttamente dal monopezzo in sughero al tappo a vite, che sta erodendo quote un po’ dappertutto. È sì stato trainato dai vini entry level, ma è una chiusura valida e sicura per ogni vino”. Tanto che, negli anni, “tanti disciplinari sono stati cambiati ed aperti alle chiusure alternative. Il fatto di non autorizzare certe chiusure era dettato dalla necessità di non “svilire” il prodotto, oggi invece un tappo a vite, o sintetico o microagglomerato, si dimostrano un valore aggiunto, e quindi mi aspetto che molti disciplinari aprano presto anche al tappo a vite”.
Allargando lo sguardo al contesto globale,
“i mercati del Nord Europa, compresi quelli di Austria e Germania, mostrano un’accettazione sempre maggiore, e quindi una crescita evidente, dei vini chiusi con il tappo a vite. Ci sono poi mercati che, seppure finora hanno vissuto un approccio da puristi sul tema chiusure, adesso mostrano un certo interesse per il tappo a vite, compresa l’Italia, che, fino a poco tempo fa, era lontanissimo dal consumatore italiano, che sta invece imparando ad apprezzarlo. E lo stesso vale in Francia e Spagna, dove si pensava che non ci fosse spazio per nulla che non fosse il tappo in sughero: non è così, gli spagnoli si stanno aprendo sia ai tappi alternativi che a quelli a vite, anche su vini importanti. C’è una tendenza al cambiamento, dettata anche dalla necessità di diversificare ed utilizzare strumenti nuovi, sia come soluzione tecnologica che come leva di marketing. Il mercato, nel complesso, si sta muovendo, mentre a livello mondiale si nota un’altra dinamica, inversa, in quei Paesi che il tappo a vite lo hanno lanciato, dove ci si sposta timidamente verso il tappo raso, dall’Australia alla Nuova Zelanda, per una questione principalmente di moda. È ancora difficile convincere la fascia più tradizionalista, ma le nuove generazioni stanno imparando il piacere di aprire una bottiglia senza cavatappi, e questo non è né un bene né un male, ma il segno dei tempi, che potrebbero presto superare la cerimonia di apertura del tappo in sughero, la suspense che porta con sé, la sorpresa, che non interessa ai più giovani, abituati a trovare nella bottiglia esattamente quello che si aspettano”, conclude Filippo Peroni.
Infine, Paolo Araldo,
distributore in Italia dei tappi Diam, che del momento dà una lettura sostanzialmente equilibrata: “dal nostro osservatorio, non abbiamo registrato grandi cambiamenti in termini di ripartizione del mercato, tra chiusure in sughero ed in alluminio. Sono due categorie legate a prodotti ben precisi, che difficilmente entrano in competizione. Il mondo del vino ha bisogno di entrambe, perché rispondono ad esigenze diverse, ed infatti, anche nei prossimi mesi, non credo che il mondo delle chiusure del vino, almeno in Italia, registrerà particolari scossoni, avendo ormai trovato un punto di equilibrio importante”.

 

 

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