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CLIMATE CHANGE

La siccità, una minaccia costante al vigneto italiano. Che trova risposte nel portainnesto

Attilio Scienza: “la radice è il cervello della vite, ecco perché nella gestione delle risorse idriche è ben più importante della varietà”
ATTILIO SCIENZA, IRRIGAZIONE, PORTAINNESTI, RICERCA, SICCITA', VARIETA, VITE, Italia
Coltivare la vite in un clima siccitoso

Poca neve, caldo record, piogge scarsissime, e a pochi giorni dall’inizio del 2023, per l’agricoltura - italiana ed europea - è già allarme climatico. Anche tra i vigneti, per quanto la prossima vendemmia sia, almeno relativamente, lontanissima. Da un lato preoccupano le temperature che, come abbiamo scritto qualche giorno fa (qui), nella Francia meridionale e più in generale nel bacino del Mediterraneo, rischiano di anticipare di settimane il germogliamento, esponendo la vite al pericolo delle gelate, come abbiamo visto spesso nell’ultimo decennio. L’altro fronte critico riguarda, invece, la siccità, perché senza le precipitazioni invernali i vigneti si troveranno ad affrontare l’ennesima estate di passione, come tante negli ultimi anni.

Del resto, per quanto la vite sia una pianta resiliente, “soffre la siccità esattamente come la pianta di pomodoro”, ha ricordato a “Vitisphere” l’ecofisiologo evoluzionista Sylvain Delzon, ricercatore all’Università di Bordeaux e al National Research Institute for Agriculture, Food & the Environment (Inrae). Esistono, però, molte differenze tra una varietà e l’altra, perché se Pinot Nero, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sylvaner sono particolarmente tolleranti alla siccità, le varietà resistenti alle malattie sviluppate in Francia - Artaban, Floreal, Vidoc e Voltis - e riconosciute dal Community Plant Variety Office della Ue, risultano invece le più sensibili alla mancanza di acqua. Aspetto fondamentale, come vedremo, è che la ricerca di Sylvain Delzon ha riguardato esclusivamente viti a piede franco, quindi non innestate.

Dire quali siano le varietà che rispondono meglio alla siccità non è semplice, ma di certo un ruolo fondamentale è quello giocato dal portainnesto”, spiega, a WineNews, il professore Attilio Scienza, docente all’Università di Milano e tra i massimi esperti al mondo di viticoltura. “La marza e il portainnesto hanno un comportamento interattivo: la varietà tollera la siccità insieme al suo portainnesto, il risultato dipende dalla combinazione tra i due. Ci sono varietà geneticamente econome nella gestione dell’acqua, ed altre dissipatrici, che sono state selezionate e si sono evolute in ambienti dalle caratteristiche climatiche molto diverse. Quando interviene il portainnesto, agli inizi del Novecento, modifica in modo sostanziale l’atteggiamento delle diverse varietà”. E questo perché “il cervello di una pianta, e quindi della vite, è nelle radici: cambiandole, con il portainnesto, cambiamo il comportamento della varietà. Sono le radici che dicono alla parte aerea come comportarsi: la foglia riceve il segnale dall’esterno, in termini di temperature ed altri fattori, quindi viene rielaborato a livello radicale e rimandato alle foglie, che gestiscono l’equilibrio idrico della pianta, dopo aver ricevuto un input fatto di sostanze ormonali e attraverso dei microRNA, i veri modulatori del comportamento della pianta nei confronti dello stress idrico”, spiega ancora il Professor Scienza. “È un esempio perfetto di epigenetica, nuova frontiera della conoscenza che si può definire come la capacità di un essere vegetale di reagire velocemente alle condizioni avverse, come la mancanza d’acqua, attraverso delle modifiche temporanee del suo Dna, che si adegua e di adatta alle condizioni esterne, e il suo fenotipo si modifica di conseguenza”.

Ecco perché è tanto difficile dire quale sia la varietà che risponde meglio alla siccità, anche se “quelle che hanno una capacità maggiore di tenere gli stomi chiusi di notte hanno sicuramente un vantaggio. Il 30% dell’acqua persa dalla vite durante il periodo vegetativo è infatti dovuto alle perdite notturne, e questo ha a che fare unicamente con la varietà. Si tratta, però, di un aspetto secondario, rispetto alle risposte che può darci il giusto portainnesto, per questo dobbiamo investire nella ricerca: non possiamo cambiare semplicemente varietà, perché non esisterebbe il Barolo senza il Nebbiolo, né il Chianti Classico senza il Sangiovese, e non si può perdere il rapporto con la tradizione e con i territori ed i loro vitigni storici”.

Ci sarebbe, in effetti, un’altra risposta, se vogliamo più semplice, persino banale: l’irrigazione. Ma è una risposta che porta con sé un numero indefinito di problematiche da superare. “Trovo che sia una risposta velleitaria al problema della siccità, perché l’acqua scarseggia per tutti, costa molto, bisogna trasportarla, immagazzinarla. Ci vorrebbero investimenti enormi, e forse ne varrebbe la pena solo nei vigneti di Veneto, Friuli, Trentino Alto Adige e Sicilia. Non sono molte le zone in Italia ad essere adatte all’irrigazione, specie nelle zone di collina, dove l’acqua è rara e una soluzione del genere particolarmente dispendiosa. Il portainnesto, inoltre, non permette solo di assorbire più acqua, ma anche di gestire al meglio la pianta e sulla sua capacità di risparmiare acqua. Tra portainnesto e varietà ci sono diversi gradi di affinità: quello tra marza e portainnesto è un comportamento interattivo, che dà risultati diversi, e se per una varietà più vigorosa serve un portainnesto più debole, per una varietà meno vigorosa ne serve uno più forte. E poi c’è la variabile dei terreni: l’unica possibilità che abbiamo è sperimentare il comportamento di varietà e portainnesti in diversi condizioni di suolo e clima, non è possibile fare previsioni a priori, ci vuole un approccio empirico”, conclude il professore Attilio Scienza. “In generale, le varietà più vigorose sono quelle più resistenti alla siccità, perché in grado di esplorare maggiormente il terreno e andare a cercare l’acqua più in profondità”.

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