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La Stampa

Lamberto Frescobaldi “Basta incertezza Così il vino rischia la sovrapproduzione” … L’imprenditore: “Le tariffe sono un autogol soprattutto per gli Usa La Casa Bianca sa del calo dei consumi, un’intesa al 10% va bene”...“Ormai sembra una tombola. Prima è uscito il 20%, poi addirittura il 200, il 50 e ancora il 10. Ora arriva la minaccia del 17%: staremo a vedere quale dazio uscirà alla fine, a questo punto non possiamo più escludere nulla. Ma insieme al numero, gli americani devono anche decidere quanto male intendono farsi da soli. Perché per ogni dollaro che la catena commerciale statunitense investe sul vino europeo, ne genera 4,5 a favore dell’economia americana nei vari passaggi tra importatori, distributori e rivenditori. E lo stesso vale per i formaggi, i sa lumi e gli altri prodotti agroalimentari, che offrono una ricchezza significativa: imporre dazi significa lanciare un boomerang che alla fine farà male sia all’andata che al ritorno”. Lamberto Frescobaldi parla con due cappelli. Con il primo, guida uno dei gruppi viti vinicoli più antichi e blasonati in Italia e nel mondo, che oltre alle tenute con il marchio di famiglia può vantare aziende come Luce a Montalcino, Ornellaia a Bolgheri, Attems in Friuli e addirittura il Domaine Roy & fils in Oregon. “L’unico a non dover temere questa storiaccia dei dazi”, dice con un mezzo sorriso il marchese toscano. Con l’altro capello, invece, parla da presidente appena riconfermato dell’Unione italiana vini, la principale organizzazione del settore che conta oltre 800 soci per un fatturato complessivo di 10,6 miliardi di euro e l’85% dell’export nazionale. Presidente, quanto è preoccupato per questo continuo tira e molla? “Inutile nasconderlo, molto. Basti pensare che Rndc, il secondo più grande distributore americano con un fatturato di 11 miliardi di dollari, a settembre chiuderà le operazioni in California, il più importante mercato del vino statunitense, mandando a casa oltre 200 persone. Negli Usa si sta registrando un calo progressivo dei consumi di vino preoccupante e le etichette italiane non ne sono esenti. L’imposizione di dazi rischia di infliggere un colpo fatale a un mercato già stagnante, fonda mentale per il Made in Italy e per le storiche relazioni tra Italia e Stati Uniti”. Chi sarà più penalizzato? “Il problema riguarda tutti: le imprese del vino italiano destinano oltreoceano il 24% del proprio export per un valore, nel 2024, di 1,94 miliardi di euro. Ma ci sono cantine, soprattutto tra le piccole, che arrivano a fare con gli States fino al 50% del proprio fatturato. Inoltre, il vino è un prodotto tra i più esposti all’aumento delle barriere, perché è un bene voluttuario, quindi con una maggior propensione alla rinuncia all’acquisto. Temo che saranno penalizzate in particolare le piccole imprese e le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d’Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco e il Lambrusco. Per questo vorrei fare un semplice appello”. Prego. “Calma e bocce ferme. Facciamo tutti un bel respiro e cerchiamo di non drammatizzare ulteriormente la situazione. Il presidente Trump ragiona da immobiliarista, da giocatoredi poker: parte chiedendo 100, scende a 60 e poi fa i salti di gioia portando a casa 20. I nostri negoziatori in fin dei conti sanno cosa vogliono gli americani: entrare nel mercato europeo con i loro prodotti agroalimentari come la soia e la carne. Se alla fine arriveranno i dazi al 10%, non dico che stapperemo le bottiglie per la gioia, ma almeno usciremo da questo clima di incertezza, che dopotutto è ancora più dannoso. E potremo concentrarci su un problema che è ancora più grande”. Quale? “Il rischio sovraproduzione. Abbiamo oltre 40 milioni di ettolitri di vino in giacenza e la vendemmia è ormai alle porte. I vigneti producono ogni anno, non curandosi affatto di ciò che pensano Trump, Putin o Netanyahu. Ma considerato il calo dei consumi a livello globale, non possiamo permetterci di inondare la Cantina Italia con un raccolto da 50 milioni di ettolitri, che rappresentano la media produttiva degli ultimi 25 anni. Dobbiamo smetterla con questa sto ria del primato produttivo dell’Italia nel vino, perché rischiamo di avere a fine anno una disponibilità di prodotto per circa 90 milioni di ettolitri: un’offerta esagerata, che potrebbe deprimere i prezzi”. Quali possono essere le contromisure? “Serve un bagno di umiltà, pro durre 7-8 milioni di ettolitri in meno per mantenere il timone di uno degli asset italiani più remunerativi della nostra bilancia commerciale. Le azioni possibili sono molte, a partire dall’abbassamento delle rese delle uve per ettaro anche con la fine delle deroghe per i vini generici, fino allo stop alle nuove autorizzazioni all’impianto per un anno. In Piemonte due Consorzi come quello della Barbera d’Asti e quello dell’Asti Spumante, che rappresentano circa il 70% della produzione regionale, hanno chiesto di attivare la distillazione straordinaria per fare spazio in cantina. Sono grida d’allarme che non possono essere sottovalutate. E anche necessario riorganizzare il sistema delle denominazioni: le prime 20 denominazioni rappresentano l’80% del volume del vi no italiano. Ciò significa che un numero sproporzionato di vini a Doc/Igt (sono 529 quelle riconosciute, ndr) esiste solo sulla carta. Una cosa deve essere chiara: i problemi c’erano anche prima, ma siamo stati salvati da 2 vendemmie eccezionalmente contenute rispetto alle medie. Ora c’è bisogno di correre ai ripari senza attendere interventi mira colosi dal cielo”.

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