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La Stampa / Specchio

Buono da bere e da raccontare ... Il vino non è solo buono da bere ma anche da raccontare e il famoso eno-gastronomo Paolo Massobrio, guru del Club di Papillon, ha voluto far passare le sue emozioni di gourmet dal cuore al libro, scrivendo Il Tempo del Vino che è un diario di vigna e di passioni (Rizzoli). Mi ci sono ritrovato menzionato, con mia sorpresa, come uomo di scienza che si occupa di questo alimento bevanda assieme a un grande della scienza medica che come me si occupa degli effetti salutisti del vino. Il professor Curtis Ellison della Boston University (premio Giacomo Bologna tre anni fa), con cui collaboriamo scientificamente. Quale universo si nasconde in un bicchiere di vino? Quale alchimia produce quel delicato connubio di sapori e profumi capace di rendere memorabile un assaggio? Questi quesiti sono posti da chi ha redatto il testo molto amabilmente, ma anche molto profondamente; è una girandola di fatti, nomi e sentimenti, dove spiccano alcuni personaggi molto noti dell’enogastronomia di ieri e di oggi, fra cui Giacomo Bologna, Edoardo Raspelli, il Conte Riccardi e Luigi Veronelli, che hanno dato al vino e al suo mondo la dignità di cultura e di nutrizione.
Chi scrive ha forse aggiunto una cosa non sempre troppo amata dai gourmet: la moderazione nel bere vino. I miei motti sono sempre stati: “Si beve l’acqua e si gusta il vino”, sempre ai pasti, e mai a digiuno. Nel libro questo passaggio non è contemplato, ma c’è una grande dose di saggezza e di equilibrio, che fanno del nostro Massobrio un divulgatore attento e onesto del bere quotidiano e lo rendono intellettualmente gradevole agli uomini di scienza, che hanno bisogno di avere vicino giornalisti seri che indichino a chi beve vino non solo la quantità ma, anche e soprattutto, la qualità e la frequenza. Non si tratta infatti solo di un’esigenza gastronomica ma anche di rispetto della salvaguardia della propria e altrui salute.

I Romani lo bevevano diluito
Vinitaly a Verona, Vinum ad Alba, eccetera. Non si contano le manifestazioni che vedono il vino protagonista. Come un crescendo rossiniano, dal metanolo in poi, il vino ha riacquisito, anzi migliorato, la sua immagine di prodotto importante sia sulle tavole del mondo, sia come mercato produttivo. Insieme ai grandi produttori sono cresciuti anche i personaggi che del vino hanno parlato facendosi quasi sacerdoti della preziosa bevanda, come Veronelli. Ma assieme a lui si è fatto strada un personaggio che, a buon titolo, ne ha raccolto il testimone, o meglio le insegne diventando il nuovo vessillifero: Paolo Massobrio, una vita dedicata alle cose buone del mondo enologico e non solo.
Al tempo degli antichi Romani esisteva già il sacerdote del vino: il Simposiarca o Magister bibendi, che aveva il compito di servire il vino debitamente annacquato e quindi prima versava l’acqua e poi aggiungeva il vino. Le annacquature prendevano il nome più elegante di “diluizioni” perchè sin da allora il vino era annoverato tra le bevande inebrianti da non bere mai puro. Orazio sosteneva che solo i barbari e i viziosi avrebbero potuto bere vino puro, indicando la diluizione opportuna per gli alti magistrati, ossia tre parti di acqua e una di vino.
Già nella Bibbia troviamo descritte alcune categorie di persone a cui era vietato bere vino, per esempio i Nazirei (il voto di nazireato comportava diversi divieti, come quello di non tagliarsi i capelli, e ciò conduce al più famoso dei nazirei: Sansone). Oltre che bevanda inebriante, il vino era considerato, allora come ora, salutista e fonte di vigore. Ancora oggi, quando si brinda, si dice prosit! (voce verbale latina che significa “giovi, sia utile”), ed è quindi un buon augurio. Nonostante alterne vicende e giudizi, il vino è presente in tante religioni e in tutte le occasioni importanti. Molti sono gli aneddoti, e una parte di questi li troviamo raggruppati nell’ultimo libro di Massobrio, buono da leggere e da gustare. Prosit!. (arretrato de Lo Specchio de La Stampa del 6 maggio 2006)

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