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La Stampa / Specchio

Nella terra delle bollicine ... La mitezza del lago d’Iseo, verdi colline e una cultura del vino secolare. Sono gli ingredienti che fanno di questo angolo di Lombardia un piccolo Eden. Da gustare adesso... Padre Nicola è costernato, mostra il laboratorio in cui restaura libri antichi e allarga le braccia. “Vede”, dice, “stiamo chiudendo. Non siamo più competitivi. Anche non contando il tempo che impieghiamo, i materiali di lavoro sono sempre più cari, mentre molti testi si trovano sui mercati on line e costa meno acquistarne una copia integra che risistemare a regola d’arte una danneggiata”. Così un’attività secolare dell’abbazia Olivetana di Rodengo Saiano, in Franciacorta, va alla fine, mentre il bell’edificio è presidiato da una sempre più sparuta comunità di monaci.
Come sono cambiati i tempi da quando mille anni fa era proprio questo monastero, con i borghi sotto la sua protezione, a dar il nome a questo angolo di Lombardia, che tra la mitezza del lago d’Iseo, le colline verdi, i monti innevati sullo sfondo, la suggestione primordiale delle torbiere ha i contorni dell’Eden. La storia del nome di questo territorio è ancora controversa, ma la versione più accreditata è quella che lo vede nascere proprio da questo convento, a cui era stato affidato il compito di bonificare e rendere produttiva la vasta zona acquitrinosa e che, in cambio, non pagava tasse o tributi: “corte franca”, da cui Franciacorta. Ma, oltre al nome, la storia dei monaci si lega, perlomeno simbolicamente, ad un altro aspetto di questa fetta particolarmente felice della provincia di Brescia: il vino.
Oggi la Franciacorta è il territorio di produzione in cui nasce una tra le più pregiate stirpi di bollicine italiane, ma pensando che i primi monaci insediatisi in zona erano i Cluniacensi, con casa madre nella francese Cluny, c’è chi collega alla loro venuta un percorso di affinamento enologico (ma l’abate Perignon era di là da venire). Possibile. È certo invece che, quando nel 27 avanti cristo Brixia, ottenne lo status di “colonia civica Augusta”, da queste parti le viti venivano coltivate e fatte crescere su olmi e pioppi che costeggiavano le strade campestri. E nel 1200 esisteva già in Franciacorta una produzione particolarmente rilevante: quella dei vini “mordaci”, definizione che indicava quelli frizzanti o spumeggianti, molto apprezzati nel Medioevo, anche se piuttosto rozzi, dato che le tecniche enologiche dell’epoca non garantivano processi di stabilizzazione affidabili.
Tutt’altra cosa l’oggi, un “evo contemporaneo” che nasce ufficialmente con un decreto del Presidente della Repubblica datato 21 luglio 1967 in cui si riconosce la Franciacorta come zona a denominazione controllata, ma i cui albori risalgono alla metà degli anni Cinquanta, dall’incontro tra Franco Ziliani e Guido Berlucchi, che gettarono le basi per quello che è diventato “il” Franciacorta. In quasi 40 anni il mercato di questo vino è cresciuto tanto che la domanda ha spesso superato l’offerta e il merito è di una nuova generazione di produttori, con cospicui mezzi finanziari e una mentalità figlia delle loro precedenti esperienze imprenditoriali. Come ha fatto Vittorio Moretti, imprenditore del ramo edilizio, che ha creato Bellavista, o Ugo Gussalli Beretta, titolare della famosa azienda di armi, che con la moglie Monique ha creato una piccola cantina nella tenuta “lo Sparviere”. O ancora lo scenografo Enrico Job, marito di Una Wertmuller, che ad un certo punto ha deciso di diventare socio delle Cantine Mirabella. Ma forse anche proprio per questo la Franciacorta ha potuto rimanere un’isola al riparo da grandi interessi commerciali esterni.
Su quest’isola vigila (come sottolinea il suo logo, una “F” merlata che richiama le antiche torri medievali sparse in questo territorio) il Consorzio per la tutela del Franciacorta, attualmente presieduto da Ezio Maiolini a cui aderiscono viticoltori, vinificatori, imbottigliatori. Sono realtà di varie dimensioni: aziende familiari e imprese strutturate, conosciute nel mondo, ricche di tradizione e impegnate ad ottenere la migliore qualità possibile per il primo e unico brut italiano prodotto esclusivamente con la rifermentazione in bottiglia ad aver ottenuto la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg).
L’attività di questo organismo è molto ampia: da un lato vigila sulla produzione e dall’altro tutela e valorizza la denominazione e il vino. I controlli avvengono nel vigneto, sulle uve, e in cantina sul rispetto dei tempi di vinificazione, imbottigliamento, affinamento e commercializzazione delle bottiglie. Ma la particolarità del consorzio è data dalla sua vocazione alla ricerca e all’innovazione, come dimostra il più recente progetto in via di realizzazione: quello di arrivare ad una “viticoltura di precisione” su vasta scala impiegando tecnologie all’avanguardia. Grazie all’uso combinato di immagini satellitari ad alta precisione, di complessi algoritmi e di rilevazioni Gps (Global position system) sul terreno, i produttori hanno infatti la possibilità di ottenere in tempo reale informazioni estremamente importanti e dettagliate sulla produzione a ettaro, sullo stato di maturazione dell’uva in termini di tenore zuccherino, acidità e polifenoli. Tutti elementi fondamentali per garantire al consumatore quella sempre maggior qualità, possibile anche per le scelte produttive e commerciali che si sono imposti i soci del Consorzio: limitare correttamente le rese di uva, puntare soprattutto sul vitigno Chardonnay per una armonizzazione e specificità di gusti, vincolare i vigneti ai tipi di impianti e di potature, elevare le caratteristiche del prodotto base, allungare il più possibile il periodo di fermentazione in bottiglia e, dulcis in fundo, riservare la denominazione della regione Franciacorta al suo vino principe: il Franciacorta, che supera abbondantemente i tre milioni di bottiglie l’anno.
(arretrato di Specchio - La Stampa - del 9 settembre 2006)

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