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La Stampa / Speciale Vinitaly

Geografia del Vino: ecco come cambia ... Il ruolo della vecchia Europa, la crescita della federazione russa, il boom della Cina. E gli Usa che diventano primo paese consumatore al mondo... Tradizione, vitigni autoctoni, piccoli produttori radicati sul territorio contro grandi fabbriche di uva e cantine che vinificano in maniera standard: due filosofie opposte si contendono lo stesso bicchiere... Sarà un Vinitaly sorridente che vede la luce in fondo al tunnel della crisi o ancora teso e offuscato dalle notizie dei mercati? Le statistiche raccontano ciò che spesso già sappiamo. In tempi di cinghia stretta anche il mercato del vino si adegua e riscopre abitudini che parevano destinate all’oblio. Torna attuale, per necessità più che per virtù, il vino venduto sfuso. Lo conferma l’Ismea che nel 2009 ha rilevato per Fedagri una crescita dell’export vitivinicolo italiano del 10,2% in volume, ma con un calo del 5,4% in valore rispetto al 2008. Ovvero, restiamo il primo Paese esportatore mondiale, abbiamo venduto più vino ma a prezzi minori. Lo sfuso è salito del 18% e rappresenta un terzo del totale delle esportazioni di vino italiano. Intendiamoci siamo lontani dalle cisternate degli anni Settanta e Ottanta, quando dall’Italia partivano decine di migliaia di ettolitri di vini da taglio, destinati soprattutto alla Francia dove venivano battezzati come “vin du pays”. È il vino a cambiare modo di viaggiare. Ci sono importanti catene che comperano vini sfusi e poi li imbottigliano nei loro Paesi (dal Canada alla Svezia) con etichette che dichiarano l’origine italiana. In Germania gli sfusi matte in Italy sono saliti del 21%. Il comparto della private label (le etichette commerciali che riportano la marca delle catene di supermercati, accanto alla tipologia del vino), secondo un’indagine del Corriere Vinicolo, settimanale dell’ Unione Italiana vini, sono salite del 9% con particolare performance del tetra brik (+11%) e delle bottiglie in pet (plastica) che stanno rompendo certi vecchi tabù. I puristi della bottiglia in vetro e del turacciolo da annusare ad ogni stappatura storceranno il naso, ma il mercato si sta velocemente adeguando così è già successo con i tappi in silicone e altre materie plastiche che nei vini di prima fascia, bianchi e non solo, hanno sostituito quasi del tutto il sughero. Si conferma sul mercato anche il bag-in-box, il contenitore parallelepipedo da 3, cinque, o anche 10 litri con uno spillature a tenuta che consente di rallentare l’ossidazione del prodotto una volta aperto. E mentre nelle nostre case cambia spesso il modo di consumare il vino sta mutando anche la mappa dell’enologia mondiale. Il dato produttivo delle ultime vendemmie conferma una frenata dopo gli anni della crescita tumultuosa dei vigneti soprattutto nelle aree dell’emisfero Sud, dall’Australia al Cile, dalla Nuova Zelanda all’Argentina. Si calcola che nel mondo si producano, ogni anno, da 25 ai 30 miliardi di litri di vino (in media tra i 4 e 5 litri pro capite). Il valore di questo oceano è pari a 150 miliardi di dollari, ovvero 115 miliardi di euro, il che dimostra come intorno al settore si muovano interessi economici enormi e l’Italia ne vuole restare al centro. Nonostante le nuove vaste aree messe a coltura, più della metà della produzione mondiale continua ad essere appannaggio di tre paesi: Italia, Francia e Spagna. Prima della crisi il consumo mondiale di vino d’uva (vini fermi + frizzanti) aveva raggiunto 2,621 miliardi di casse da nove litri (12 bottiglie per cassa), cioè l’equivalente di 31,45 miliardi di bottiglie. I trend di crescita hanno rallentato, soprattutto nella fascia medio alta, ma le previsioni, a medio e lungo termine, indicano una linea in ripresa. Secondo uno studio del Vinexpo di Bordeaux, in 10 anni, il consumo mondiale potrebbe aumentare del 14% con un sorpasso significativo: gli Stati Uniti puntano a diventare il primo mercato mondiale, in termini di consumi interni, superando Italia e Francia. Ma ci sono altre realtà in movimento. La Federazione russa e la Cina consolidano la propria presenza nella top ten dei paesi consumatori, attestandosi, rispettivamente all’8° e al 9° posto. I russi hanno risposto alle campagne di contenimento degli abusi di superalcolici, vodka e non solo, con un incremento dei vini e degli spumanti (oltre 800 milioni di bottiglie stappate all’anno) e la Cina non sta a guardare con 700 milioni di bottiglie, ovvero circa mezzo litro a testa per abitante del gigante asiatico. Ma il trend è in movimento alla cinese, con incrementi a doppia cifra e segnali di investimenti giganteschi di compagnie partecipate dallo stato comunista con partner stranieri, in prima fila francesi, americani, australiani, ma anche italiani. La vecchia Europa nel suo complesso sta giocando una partita su più tavoli: con la nuova Ocm vino comunitario ha stabilito il principio che l’enologia non può più essere un comparto assistito e con le nuove Dop (Denominazioni di origine protetta) punta alla tutela delle aree tradizionalmente vocate e dei territori che nella storia hanno dato i nomi agli stessi vini. Da una parte viticoltura di territorio con le sue regole, la tradizione, i vitigni autoctoni, la tutela ambientale, le alleanze con la gastronomia tipica, con il piccolo produttore al centro; dall’altro lato le grandi imprese, le marche in grado di investire e imporre marchi, le vigne di vitigni internazionali come fabbriche di uva e le cantine in grado di produrre in maniera standardizzata e con grandi economie di scala. Due modi diversi, due filosofie che si contendono lo stesso bicchiere.

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