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La Stampa / Tuttoscienze

Non fu Noè, lo inventò una donna ... Il vino l'hanno inventato le donne, sostiene nel suo libro «Origins and ancient history of wine» Patrick McGovern, archeologo molecolare all'Università della Pennsylvania. Il campo dello studioso è interdisciplinare per definizione e infatti McGovern si è servito della collaborazione di genetisti che lo hanno aiutato a scoprire come la vite fu domesticata; di fisici i quali, mediante l'attivazione neutronica, hanno determinato il luogo di estrazione dell'argilla delle giare; di chimici che, grazie ad avanzate tecniche di fluorescenza hanno identificato le tenui tracce organiche in esse ancora presenti . Quanto è vecchio il vino? «Almeno settemila anni - scrive McGovern - ma forse di più. Andiamo indietro nel tempo e immaginiamo un gruppo di antenati, di certo donne che, mentre gli uomini sono a caccia, vanno alla ricerca di qualcosa di dolce per i piccoli e i vecchi. Sarebbe possibile immaginare uomini con la clava che raccolgono fragoline? No, si trattava di donne. Qualcuna di loro un giorno scopre un tralcio da cui pendono grappoli dolci e ne riempie la sacca di pelle di capra che ha con sé. Forse al fondo resta un succo leggermente inebriante. Grazie al clima caldo si è già prodotto un alcol, magari di bassa gradazione.». Nel Neolitico, dodicimila anni fa, quegli acini erano quasi certamente ancora frutti selvatici della Vitis vinifera sylvestris e difficilmente quelle donne potevano avere contenitori davvero adatti. «Solo più tardi, 7-8 mila anni fa, nasce l'organizzazione necessaria a vinificare, vale a dire l'agricoltura. Siamo in Medio Oriente e, con l'agricoltura, sta sorgendo anche una sorta di cucina con le prime tecniche: fermentazione, cottura, uso di erbe e spezie. Il grano era già coltivato e qualcuno aveva già inventato il pane. Altri avevano trovato il modo di cuocere le prime giare. Solo a quel punto i nostri progenitori furono davvero in grado di spremere, conservare e trasportare il vino.» La scoperta di McGovern è vecchia, ma la sua interpretazione è recentissima. 1968: siamo in Iran, sulle pendici settentrionali dei monti Zagros, nel villaggio di Hajjj Firuz. Sembra uno dei tanti scavi finanziati dal prestigioso Museo Archeologico dell'Università della Pennsylvania. E invece da una casa vengono fuori due giare speciali. Sono a pezzi, ma il gruppo di Mc Govern intravede all'interno dei cocci tracce rossicce con un bordo giallo. Ci sono anche righe colorate. L'intera squadra torna negli Usa e qui iniziano le analisi. All'inizio ci si limita a datare quella ricca casa, fra i 5000 e i 5400 anni avanti Cristo. Ma quando si tratta di analizzarne i colori non ci sono i mezzi, le apparecchiature sono ancora da inventare. La risposta definitiva giunge grazie a nuove tecniche, molti anni dopo, ed è inequivocabile. Dice McGovern: «La giara mostra segni di acido tartarico e di altri composti organici tra cui un additivo conservante tratto dall'arbusto del terebinto di cui si serviranno anche i romani. Dunque, in Iran nel 1968 noi scoprimmo il vino più antico del mondo, anche se ci abbiamo messo più di trent'anni per capirlo.» McGovern compone poi una vera mappa della vinificazione antica, riesce a rintracciare l'origine dell'argilla di molte giare, nonché di quella dei tappi. Si parla di valle del Giordano e del Mar Morto, ma anche di terra del Nilo. Segno di viaggi, commerci e spostamenti e segno che, proprio come i migliori viticoltori moderni, anche quelli, ad un certo punto, cambiavano i tappi. Ma erano tappi d'argilla. (arretrato de "La Stampa" del 14 aprile 2004)

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