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La Stampa / Tuttoscienze

Vitigni, la ricchezza della bio-diversità. Ricerche a Torino: riscoperta di antiche varietà, mappatura genetica e lotta ai nuovi virus ... Fin dall’antichità la vite è stata coltivata da tutti i popoli del bacino del Mediterraneo: ce lo dicono toponimi come Vigne, Vignacce, Vigneti, Vignali reperibili lungo tutto il nostro paese. Già Columella e Plinio hanno lasciato descrizioni di varietà, ma è possibile comprendere se varietà simili siano giunte fino a noi o se siano andate perse. Gli attuali moscati corrispondono ad esempio alle vecchie Apiane dei Romani? La nostra penisola è tuttora assai ricca di germoplasma viticolo autoctono costituito da vitigni minori, rari e in via di scomparsa per la sua posizione geografica, le vicende storico-sociali e la modernizzazione della viticoltura.

Alcuni dipinti del Rinascimento, primi fra tutti quelli di Bartolomeo Bimbi, testimoniano che le uve, nel periodo rinascimentale, erano davvero tantissime: decine e decine di varietà nella sola Toscana. Il recupero e la valorizzazione di vitigni anche soltanto alcuni dei più promettenti potrebbe essere per l’Italia una ottima opportunità, anche se si pongono numerosi problemi (tempi lunghi e procedure non semplici), difficoltà di identificazione e di reperimento di materiale di propagazione idoneo.

Chi si occupa di questi temi all’Unità di Viticoltura-Grugliasco dell’Istituto Virologia Vegetale del Cnr e il Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Torino sostiene che il fatto di designare con nomi diversi, seppure in località distinte, la stessa cultivar può determinare confusione e portare a controversie legali o commerciali. Significativo, a questo proposito, dicono Anna Schneider e Roberto Botta, è il caso dello Chardonnay, chiamato talora Pinot Chardonnay e importato in Italia con questo nome, e per questo confuso per alcuni anni con il Pinot bianco.

Da alcuni anni mediante l’analisi del genoma con marcatori molecolari si ottengono dati oggettivi e soprattutto riproducibili, uno strumento prezioso, affidabile e inequivocabile. Così è stato possibile stabilire, ad esempio, che la Malvasia nera lunga e il Moscato di Scanzo, simili dal punto di vista morfologico, sono distinti, mentre altri come Ruchè e Moscatellina, Bourgnin, e Chatus, Bianver e Verdesse, Becouet e Persan, corrispondono geneticamente e si possono perciò considerare la stessa cultivar.

Queste ricerche, svolte nell’ambito di un progetto Interreg “Conservazione e valorizzazione della biodiversità viticola”, hanno permesso anche di accertare sinonimie tra vitigni appartenenti al germoplasma dei due versanti delle Alpi occidentali, a testimonianza dell’esistenza di un pool genetico comune adattato alle condizioni ambientali e colturali della viticoltura alpina. Spesso si è trattato di vitigni minori rari e a volte rarissimi coltivati da tempo nell’arco alpino adatti a difficili condizioni climatiche e podologiche. Si è così evitato che andassero perduti; sicuramente potranno contribuire a rivitalizzare la viticoltura.

Un altro problema grave che affligge la vite è quello delle malattie virali e virus simili di cui si occupano presso lo stesso centro, Ivana Gribaudo e Franco Mannini, due ricercatori che lavorano sulle varietà europee. Non esiste, infatti, la possibilità di effettuare trattamenti direttamente in campo per la mancanza di fitofarmaci validi, per cui occorre fornire materiale propagativi sano. D’altra parte, i selezionatori spesso stentano a reperire in natura biotipi idonei sotto il profilo sanitario, specie quando si tratta di vitigni locali, per cui diviene indispensabile e radicare i virus dalle piante infette destinate a venire moltiplicate. I metodi utilizzati consistono nella termoterapia (trattamento con il calore applicato a piante coltivate in vaso o in vitro) e nella coltura di apici meristematici. Il successo dipende dal numero e dal tipo di virus, e talvolta dal vitigno.

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