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La Stampa

Quando il vino diventa lusso e show: i vignaioli di Brunello e Sagrantino pagati come le grandi griffe ... Il lusso è servito. A tavola, naturalmente. Ma è proprio lusso quello di cui si nutrono le cronache enogastronomiche-mondane, oppure una diversa visione di come interpretare la vita? Gusto, piacere intimo del sapore e delle sue suggestioni, diventano spunto per grandi eventi di rilievo assoluto. Come esempio guardiamo alle aste dei vini, proposte da nomi mitici delle vendite all´incanto, come Christie´s, o alle performance di mercato di sigle che compendiano i vangeli del «bon vivant», come LVMH, in cui sono racchiusi marchi storici del piacere, tra moda, champagne e cognac. E la finanza, con la vista lunga, imbocca questa strada con decisione, sponsorizzando investimenti in "future" sui grandi vini. Così come fanno aziende, che magari potrebbero accontentarsi con piena soddisfazione dei loro prodotti tradizionali, investendo in prodotti innovativi, tanto in sostanza, tanto in genialità. Basti pensare al caffè solido, chiamato «Espesso», creato per Lavazza dal più originale genio iberico della cucina, Ferran Adrià. Insomma in quei beni che un dizionario di economia classifica tra i «voluttuari» la gente investe, o almeno spende, volentieri, forse per dimenticare le delusioni dei listini di Borsa. Prendiamo un piacere antico quasi quanto l´uomo: «Bere vino risponde prima che a un bisogno a un desiderio edonistico e a una fortissima spinta al superamento dei limiti sensoriali», così con Emile Peynaud, il più grande enologo dei nostri giorni, si può ben dire che «saper bere è saper vivere». Nell´accostarsi a una bottiglia di classe entrano in gioco l´eleganza del gesto, la moderazione nel consumo, la cultura nella scelta, la personalizzazione del gusto, esattamente come si fa con un abito. Dunque, nessuno stupore che oggi vini e moda facciano parte dello stesso stile di vita, dello stesso business e che vignaioli come Angelo Gaja, Piero Antinori, i Frescobaldi, i Biondi Santi, i Mazzei, i Rallo di Donnafugata siano considerati al pari delle griffe.
A ben vedere il "made in Italy" viaggia sulle gambe del buon gusto declinato in passerella, in cantina e in cucina per i mercati del mondo ottenendo lusinghieri risultati. Negli Usa quest´anno il vino italiano è stato il più comprato. E non è traguardo da poco visto che ormai le enoteche assomigliano sempre più agli show-room e i prezzi delle etichette di pregio sono quelli di un capospalla dei migliori couturier. Ma anche nel lessico wine e fashion sono sempre più intimamente legati. Si fa un gran parlare del «vintage», cioè di quello stile che si richiama alle mode retrò. Ebbene il tempo che passa per un grande vino non è mai un danno, anzi proprio la tendenza "vintage" oggi gli da un ulteriore atout per essere trendy. Il vino richiama la natura, evoca l´eleganza delle cantine, stimola immagini di aristocrazia rurale, diventa veicolo di scoperta, o riscoperta, delle nostre radici e occasione di incontro. Seguendo questo richiamo si cominciano a scegliere vini da vitigni autoctoni, molto personali come il Brunello, la Barbera, il Barolo, l´esuberante Nero d´Avola (vedi il «Deliella» del Feudo di Butera di Gianni Zonin, vino che quest´anno ha messo d´accordo tutte le guide). O, tra i bianchi che stanno risalendo nel gradimento, spuntano Tocai, Gewurztraminer, Vermentino e Verdicchio. Così come i passiti, i vini da meditazione, che siano Zibibbo di Pantelleria, Vin Santo Toscano, o Malvasia di Salina sono ormai compendio di sigari, cioccolata e salottieri conviti. Fanno tendenza. L´immagine dei vini italiani è tale che per una bottiglia di Sagrantino di Caprai, vestita dallo stilista Cavalli, Sharon Stone non ha esitato a spendere una fortuna pur di farla sua a un´asta di beneficienza. «Made in Italy» in cantina è anche aver portato vini d´impostazione internazionale (cioè con forti percentuali di merlot e cabernet) a essere premiati dagli americani come i migliori del mondo per la loro inconfondibile italianità. E´ accaduto, per due anni di fila, con «Solaia» e «Ornellaia». D´altronde uno dei veri tesori che l´Italia racchiude nel suo territorio, dalle Alpi alla Sicilia, è quello dei prodotti alimentari tipici. Si può sorridere sul tormentone del «lardo di Colonnata», quello vero, ostentato in tavola come un braccialetto di Cartier al polso, ma bisogna realizzare che la nostra migliore tradizione alimentare, riconosciuta dall´Unione europea con ben 120 «brevetti» di denominazione d´origine protetta muove un giro d´affari da oltre 7,5 miliardi di euro l´anno. Cifra tutt´altro che effimera.

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