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La Stampa

Il vino italiano all’estero: botte piena, mercati ubriachi ... In occasione del Vinexpo di Bordeaux, la maggiore fiera internazionale del vino che si tiene con cadenza biennale, in questi giorni s’è messo in evidenza da più parti come la critica e la buona ristorazione d’Oltralpe abbiamo superato i loro pregiudizi sul vino italiano di qualità. Questi segnali sono pur veri: io stesso ho avuto modo di ostpitare una decina di ristoratori pluristellati dalla guida Michelin, capeggiati dal grande Paul Bocuse, che sono venuti nelle Langhe e nel Roero spinti soprattutto dalla curiosità di scoprire i migliori vini piemontesi. Ho potuto constatare come il loro interesse non fosse di maniera: l’apprezzamento per le caratteristiche organolettiche dei nostri vini è stato davvero sincero. Soltanto pochi giorni fa, invece, il prestigioso istituto dell’Académie Internationale du Vin, ospitato in queste terre sotto l’abile regia di Franco Martinetti, gourmet e produttore di pregio, ha tributato un unanime riconoscimento ai Barolo, Barbaresco, Roero e Moscato. Nonostante questi segnali incoraggianti, il problema che in questo momento preoccupa di più i produttori italiani d’eccellenza è però una crisi strisciante del mercato internazionale. In particolare due mercati storici, Germania e Stati Uniti, stanno dando segnali d’arretramento: da un lato c’è la tipica reazione del popolo tedesco che nei momenti d’incertezza blocca completamente i consumi voluttuari; dall’altro c’è la perdita di valore del dollaro rispetto all’euro che rende meno interessanti le importazioni dal nostro continente. Si tratta di congiunture, di fluttuazioni cicliche del mercato, ma è anche vero che la politica dei prezzi dei nostri produttori, sempre tesa al rialzo negli ultimi anni, non ha certo aiutato. Anche in presenza di annate favolose questo trend va governato con senno, ma, come si sa, la lungimiranza non è una dote molto diffusa. Per fortuna si sta facendo strada la convinzione che il sistema distributivo dei vini è un po’ come un podere, dove l’applicazione della monocultura può creare gravi danni in caso di imprevisti d’ordine agronomico. E’ opportuno coltivare diversi rapporti nel mondo e differenziare il più possibile fra i diversi canali. Questo modo di muoversi consentirà al comparto nazionale di sostenere qualsiasi crisi e di sfruttare anche l’enorme varietà produttiva dei nostri territori. La qualità della materia prima, portata avanti con determinazione dai produttori italiani, unita alla capacità di gestire questi momenti di parziale difficoltà, garantiscono sicuramente un futuro brillante ai prodotti enologici nazionali. Perché, in fin dei conti, è vero: in fatto d’eccellenze non temiamo poi tanti confronti.

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