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La Stampa

Il Rabesco dei Gelsi e di Plinio ... Alla famiglia Cecchetto si deve la rinascita, dopo anni di oblio, di questo vitigno autoctono già citato da Plinio il Vecchio nel Naturalis Historia ed apprezzato ai tempi della Serenissima. E’grazie al loro lavoro se il Raboso rappresenta ora il miglior biglietto da visita della vasta pianura trevigiana. Un recupero di storia del nostro Paese che ha una data precisa, il 1997, anno in cui Giorgio Cecchetto interpreta al meglio i “segreti” che questo vino celava da secoli, grazie a due accorgimenti: l’attesa della completa maturazione delle uve e la successiva tecnica di leggero appassimento sui graticci. Da qui l’uscita di un vino più morbido del passato, giustamente tannico e meno spigoloso. Clamoroso è oggi il Piave Raboso “Gelsaia” 2000 che nel nome evoca un ringraziamento a questa pianta, il gelso, che da secoli è il tutore vivente del vitigno e dell’economia della vite. Il vino è rosso rubino intenso, riflessi granata: il Bouquet, ampio e pieno, segna profumi che spaziano dalla viola alla marasca. Al palato è secco, austero, dall’amorevole tannicità che rende il sorso lungo e piacevole. Viene affinato in botti di rovere per almeno 18 mesi e, dopo l’imbottigliamento, sosta in cantina per altri 8 mesi. Risulta ideale su cacciagione e formaggi stagionati, anche snon sfigura come vino da meditazione. Nei circa 40 ettari coltivati a vite, i Cecchetto producono anche Pinot Grigio, Chardonnay, Prosecco, Cabernet Sauvignon, Merlot. Ma di una cosa siamo certi: anche se sarà difficile tornare ai fasti degli Anni ‘60, dove il 90% del Trevigiano era vitato a Raboso, il lavoro di ricerca svolto da Giorgio ridarà dignità e prestigio a questo vino che è autentica espressione di un territorio e della sua gente.

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