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La Stampa

Il caso - Vini, scatta l’allarme export flessione del 16% in 11 mesi ... Il vino italiano negli Usa costa il 30/35% in più rispetto a un anno fa, a causa della debolezza del dollaro. La conseguenza è che le aziende esportatrici riducono in modo sensibile i propri margini. Nello stesso momento, però, i vini californiani vengono quotati sui mercati europei il 30-35% in meno. La conseguenza? In Inghilterra l’Italia ha perso la terza posizione nella classifica dei vini importati, a vantaggio delle etichette d’Oltreoceano”. E’ la radiografia fatta da Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini, in occasione del summit suoi nuovi scenari del vino, svoltosi ieri a Grinzane Cavour, in provincia di Cuneo, su iniziativa dell’Enoteca regionale piemontese “Cavour”.
“Le ragioni di questa sofferenza del vino italiano, dopo anni di successi – ha aggiunto Pedron – sono congiunturali e strutturali. Debolezza del dollaro, calo degli acquisti per la maggior prudenza dei consumatori e anche la politica vinicola australiana di andare all’attacco a ogni costo e a ogni prezzo.
C’è poi, l’aspetto strutturale: la nostra è una viticoltura vecchia e costosa. Scontiamo la frammentazione del settore con denominazioni d’origine in alcuni casi molto piccole, che non fanno massa critica sui mercati”. Pedron ha tracciato anche una ricetta: “Non basta più la qualità: è indispensabile anche il prezzo competitivo e poi è ora di fermarsi con le sottodenominazioni: vanno bene nella fascia altissima, ma la percentuale maggiore di successo è con i vini di medio valore. L’Italia ha enormi opportunità: la Sicilia, ad esempio, imbottiglia solo il 10% del vino, il resto è sfuso. Eppure la superficie vitata è due volte quella cilena e pari a quella australiana” ... Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini, è convinto che una volta assorbite le esagerazioni dei prezzi e negli investimenti si tornerà all’entusiasmo, ma la strategia è saper programmare per essere pronti nel momento di flessione. “Il problema – dice – è tenere i mercati. Siamo insidiati da nuove viticolture molto aggressive con politiche di marketing, prima ancora che di produzione. Noi, invece, abbiamo eccellenze che non sono adeguatamente posizionate sul mercato. Noi puntiamo sull’ancoraggio al territorio e sulle denominazioni d’origine, mentre loro puntano sui brand e su valori internazionali” ... (arretrato de "La Stampa" del 14 marzo 2004)

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