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La Stampa

De Gustibus disputandum est - La bottiglia sa di tappo? Il produttore è ancora indifeso ... Per gli industriali del sughero le probabilità di avere una bottiglia infetta da TCA sono del 2%, per i viticoltori del 15%, comunque sono soldi persi. Dalla Germania arriva la proposta di usare il vetro. TCA è la sigla che per comodità sta ad indicare il composto chimico che infetta i tappi di sughero e il vino quando capita la spiacevolissima sventura di una bottiglia che “sa di tappo”. Nasce da una reazione chimica che può avvenire in diversi momenti del processo enologico, partendo da muffe che possono essere presenti nel sughero utilizzato per realizzare i tappi o anche nel legno usato per botti e tini.
Se capita l’inconveniente il consumatore storce il naso e si fa cambiare bottiglia, ma ristoratori, negozianti e produttori subiscono un danno economico: i dati sulle probabilità di avere una bottiglia infetta dal TCA variano a seconda di chi li fornisce (2% dicono i produttori di tappi, 15% alcune ricerche fatte dai produttori di vino), ma sono in tutti i casi soldi buttati al vento.

La storica vicenda di Elio Altare, che ha rinunciato a un’intera annata di Barolo con tutti i sui strascichi legali a favore del vignaiolo, costituisce un precedente non da poco. Tuttavia i produttori non sono ancora sufficientemente tutelati, restano alla mercé di un comparto produttivo, quello del sughero, che a fronte di una domanda in costante aumento e di un’offerta in inesorabile diminuzione, in fin dei conti non si pone paure di chi compra i tappi. L’industria del sughero parla di ricerche, nuovi trattamenti e ogni sorta di diavoleria chimica che sanno di tappo non mi sembra proprio stiano diventando un ricordo.

E’ vero che il tappo di sughero ha un fascino e una tradizione non indifferenti, il tipico rumore che fa quando si stappa una bottiglia per molti è insostituibile ed è parte integrante del rito legato al consumo di vino. Ci sono poi motivi “tecnici”: il sughero resta per ora lo strumento migliore per garantire quel “respiro” al prodotto nelle fasi d’invecchiamento. Ma mi sa che sia ora di cercare qualche alternativa, senza inorridire di fronte a supposte eresie e senza fare i moralisti tradizionalisti. Anche perché non soltanto ne va del vino stesso e dei danni economici, ma perché comincia a diventare ben più che sensibile il problema ecologico: gli alberi da sughero non crescono alla stessa velocità con cui si consumano i tappi e, come ho detto prima, la domanda di questi cresce ogni anno.

La sperimentazione e il commercio di bottiglie con i tappi sintetici, che ormai tutti hanno imparato a riconoscere, ha dato buoni risultati soltanto con i vini da consumare entro un anno, un anno e mezzo dalla produzione: scordiamoci di tappare bottiglie d’annata con quei colorati cilindretti in materiale plastico. Non sono elegantissimi, è difficilissimo usarli per richiudere una bottiglia aperta, ma diamo atto che in parte sono serviti allo scopo.

Oggi la ricerca e l’inventiva proseguono in altre direzioni e ci sono alcune novità da segnalare.

Hanno nomi curiosi: MetaCork, Zork e Vino-lok. Il primo è statunitense ed è un sistema che contiene, in uno, il tappo (sintetico), il cavatappi e un tappino per richiudere la bottiglia: non convince ancora a pieno, soprattutto per i materiali utilizzati. Tutto in plastica è poi l’australiano Zork: si apre con una linguetta, sembra sufficientemente ermetico e promette di garantire lo stesso rumore del tappo di sughero quando si toglie. Da verificare meglio.
Quello a cui forse il mondo enologico guarda con più attenzione è il terzo e il più nuovo, tedesco. Vino-lok è il vetro, coperto da una capsula di alluminio più un’altra in pvc come quelle già utilizzate finora per le bottiglie tradizionali. L’utilizzo del vetro è interessante e devo dire che il sistema ha anche una certa eleganza, visto che ricorda un po’ quei tappi per ampolle di inizio Ottocento quando la bottiglia si richiude, mantenendo però lo stesso look che siamo abituati a conoscere sugli scaffali e in cantina.

Sono invenzioni da tenere d’occhio, non è detto che sia la soluzione finale di un problema secolare, ma almeno si sta assistendo a reali sforzi che indurranno, prima o poi, l’industria del sughero a tenere in debito contro le richieste e le ansie dei winemakers, e non dovremo neanche un giorno rinunciare al sughero, che in questo momento rischia davvero tanto di vedersi ridurre al lumicino. Fino all’estinzione? (arretrato de "La Stampa" del 4 luglio 2004)

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