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La Stampa

Sul vino l’effetto del caro-petrolio. In vista dell’autunno si teme un’ulteriore stretta dei consumi ... Flessione dell’export, concorrenza dei paesi nuovi produttori, questione prezzi: ormai del vino si interroga sul suo futuro prossimo e guarda con preoccupazione alla generale stretta dei consumi, che gli effetti del caro-petrolio possono rendere più severa. Quali le prospettive per l’autunno, momento importante anche per gli ordini legati alle festività di fine d’anno? “Decisamente i rincari del greggio non aiutano chi ha redditi mediobassi – risponde Gianni Zonin, leader delle maggiore azienda privata del settore -. Io credo che sia ora di puntare con forza alla riduzione dell’Iva sul vino, che è al 20%, molto più alta di tutti gli altri prodotti alimentari: serve un’azione coordinata produttori-consumatori-Governo per contenere i prezzi. Ci sono segnali da non trascurare: in Italia, come in Francia, in California o in Australia si vedono aziende chiudere e sono quelle che hanno fatto troppi investimenti pensando a consumi a prezzi alti, mentre siamo di fronte ad un panorama di consumi ridotti e di consumatori che ai prezzi alti non credono più”. A capo del Consorzio dell’Asti, il vino italiano più esportato nel mondo, Paolo Ricagno non è pessimista: “Per l’autunno vedo una situazione di stabilità e credo che la nostra produzione prenderà il sopravvento anche perché nella gente c’è una mentalità diversa, è più preparata, vuole qualità e potrà anche esserci un ritorno all’approvvigionamento alla fonte, che rinsalderebbe i legami con il territorio. Si cerca il miglior rapporto qualità-prezzo e i vini cari stanno cedendo terreno a quelli medi. In ogni fascia, comunque, i viticoltori tendono a produrre il meglio in assoluto. Dei vini internazionali credo non ci sia da avere troppa paura, visto che non hanno il fascino inimitabile dei nostri grandi vitigni. Per l’Asti, poi, c’è un valore aggiunto: non è come un altro vino, che, volendo, tutti possono fare, bisogna pensare al costo delle tecnologie e bisogna avere buoni tecnici”. Emilio Pedron, amministratore delegato di un colosso come il Gruppo italiano vini, focalizza l’attenzione sulla prossima vendemmia: “Siamo indubbiamente di fronte ad un mercato maturo, dove i margini di crescita sono minimi, non c’è però la flessione che molti paventano. Personalmente non credo nemmeno che l’incidenza sul costo della vita di fattori come i prezzi petroliferi portino ad una sensibile contrazione dei consumi di vino e, di conseguenza, parlo per il gruppo che rappresento, non vedo la necessità di diminuire i prezzi, piuttosto bisogna dare qualcosa di più con gli stessi soldi. Per poter parlare dell’immediato futuro il vero punto importante è vedere quanto costeranno le uve della prossima vendemmia: le previsioni indicano una flessione e quindi, se i pronostici saranno rispettati, dovremmo avere in mano un’arma valida per contrastare la concorrenza. In ogni caso, secondo me, è sbagliato avere troppi timori: onestamente bisogna dire che veniamo da anni buoni e se proprio si dovesse consumare un po’ di riserve è ora di farlo”. Effetto-comunicazione e accordi internazionali sono rispettivamente le luci e le ombre che si delineano sul settore nella visione di Pierdomenico Garrone, presidente dell’Enoteca d’Italia: “Vedo due aspetti, uno positivo, l’altro di preoccupazione – spiega -. Il primo è che il consumatore sta facendo cambiare la comunicazione ai produttori: l’immagine del vino da quella di un genere d’élite sta tornando ad essere quella di un prodotto popolare. Dal che si cominciano a ripensare i prezzi e ci sono segnali importanti, come quello dell’aumento delle vendite a bicchiere. Il fenomeno preoccupante, invece, lo colgo nelle maglie larghe degli accordi Wto sul commercio internazionale, con il rischio di vedere arrivare sul nostro mercato prodotti di livello qualitativo non consono agli standard europei”. (arretrato de "La Stampa" del 15 agosto 2004)

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