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La Stampa

Enrico Bernardo lavora nel ristorante parigino "Le Cinq": "Il vino non è un mistero da celebrare". Il miglior sommelier del mondo: niente lezioni, bere deve essere un piacere ... A diciassette anni il primo bicchiere di vino, a ventisette il titolo miglior "degustatore" del pianeta. Nella Torino del Salone del Gusto, c’è anche il lombardo Bernardo, di Padermo Dugnano, da cinque anni capo sommelier del ristorante pluristellato "Le Cinq" del "Four Season Hotel" di Parigi, per le guide francesi il miglior albergo del mondo. Il giovane italiano che gestisce una cantina da 1.800 etichette ha vinto il titolo iridato ad Atene, risultando il migliore nella sfida articolata in quattro prove: degustazione alla cieca, correzione di una carta de vini sbagliata, scelta dei vini per accompagnare un menù e decantazione.
Il successo del Salone del Gusto conferma che la moda dell’enogastronomia è tutt’altro che passata, ma il mondo del vino si lamenta per la crisi delle vendite. Che cosa non funziona?
"Il momento peggiore lo abbiamo vissuto tra il 2000 e il 2002. Tutti volevano vin robusti, per palati forti, i cosiddetti vini “parkerizzati” (da Robert Paker uno dei critici americani più noti soprannominato “The Wine Advocate”). Oggi è in corso un cambiamento fondamentale dovuto anche alla crisi economica che colpisce persino la clientela dei ristoranti di alto livello. I top wine, i vini costosi e concentrati, non si vendono più. C’è la voglia di spendere un po’ meno, magari grazie a denominazioni nuove, piccole identità enologiche da collegare a un luogo, alla tipicità e all’unicità di un territorio". I vini "parkerizzati" erano figli dei giudizi di una guida. Oggi a dare i voti a bianchi e rossi ci provano in tanti, forse in troppo? "Ce ne sono davvero molte, a volte mi sembra che ogni guida sia espressione di un enologo che cerca di imporre il suo modo di pensare e di fare il vino. Sono sicuro che grappoli, stelle, bicchieri abbiano fatto bene ai consumi e alla qualità, ma hanno anche spinto i produttori a non fare vini per soddisfare i critici delle guide. In molti hanno smesso di pensare alla piacevolezza e hanno solo cercato di diventare numeri uno. Così si è rovinata l’autenticità del prodotto. Quello che conta davvero non è la ricerca di una qualità assoluta ma il piacere che si riesce a dare a chi decide di investire una somma in una bottiglia di vino".
Che spazio hanno i vini italiani in uni dei ristoranti sacri per l’enograstronomia francese?.
"Delle circa 1.800 etichette che abbiamo in carta, seicento sono straniere e di queste più o meno duecento sono italiane". Come fa un produttore italiano a trovare spazio nella carta di un "tre stelle"? "I grandi non hanno bisogno di consigli o suggerimenti. Anche i francesi apprezzano i "supertuscan", il Barolo o gli Amarone. A tutti quelli che fanno fatico dico invece che devono puntare sulla tipicità evitando di copiare i grandi". Non è imbarazzante consigliare un vino? Non si rischia di imporre etichette troppo costose o al contrario limitare la voglia di spendere del cliente? "La situazione è molto spesso imbarazzante. Se si sceglie chi invita vuole fare bella figura e punta su etichette note, ma appena può cede l’onere al suo ospite il quale precipita in un imbarazzo assoluto. Glielo si legge in volto, non sa quanto il suo commensale voglia spendere e ha paura di mostrarsi incompetente se sceglie una bottiglia poco costosa. Per questo cerco di dialogare io con il cliente e di non lasciarlo in balia della carta dei vini. L’importante è non dare lezioni o fare poesia, altrimenti il cliente non capisce, bisogna essere chiari. Il vino non è un mistero da celebrare, ma un piacere da gustare".

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