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La Stampa

La riscossa del vino di casa. I vitigni tradizionali protagonisti al Salone del Vino di Torino … “In Italia tutto comincia da Torino”, questo motto, che risale all’unità risorgimentale, potrebbe essere scritto sulla porta del Lingotto, dove oggi si apre il Salone del Vino. Da qui, infatti, i produttori della Penisola vogliono far partire la riscossa del vino nazionale su un mercato globale recentemente affollatosi di giovani, ma già esperti concorrenti e per riuscirci scelgono la strada della tradizione, quella dei vitigni del territorio, tecnicamente definiti autoctoni.

“Questi vitigni non sono nati ieri, ci sono sempre stati e proprio a loro molte zone di massima eccellenza del nostro Paese devono il successo che le ha imposte nel mondo”, dice Massimo Corrado, presidente di Go Wine, l’associazione che al Salone coordina il primo Forum nazionale sugli autoctoni d’intesa con la Regione Piemonte. Inutile dire che la presenza piemontese a questa rassegna è fortissima: quasi 400 espositori, rappresentati da produttori, enti, associazioni, consorzi, organizzazioni professionali, istituzioni. “Riteniamo un fatto molto importante il consolidamento del Salone Vino - sottolinea l’assessore regionale dell’agricoltura, Ugo Cavallera - poiché rappresenta un altro significativo riscontro del ruolo crescente del nostro settore agroalimentare, che con le sue eccellenti produzioni contribuisce allo sviluppo di iniziative economiche, commerciali, di servizi ed alla crescita dell’immagine e dell’accoglienza in Piemonte”.

Ma se gli autoctoni costituiscono il fondamento su cui si basa la viticoltura nazionale (o forse proprio per questo), nelle loro norme purtroppo scoppiano anche piccole “guerre”, come quella del Sagrantino, antico vitigno umbro che la Toscana ha inserito tra i suoi. Niente di illecito, visto che i vitigni non possono essere una proprietà esclusiva, ma il caso potrebbe funzionare da cavallo di Troia per i nuovi Paesi produttori. Di fronte all’avanzata sui mercati australiani, cileni, sudafricani e californiani, l’Italia ha giustamente identificato nell’esaltazione del legame dei vini con il territorio la migliore difesa. Però se cadono le barriere territoriali tra regione e regione molti autoctoni potrebbero in seguito diventare, a tutti gli effetti, vitigni internazionali ed essere piantati a tutte le latitudini. Per evitare questo rischio gli assessori all’agricoltura dei più importanti territori vitivinicoli italiani proprio al salone di Torino firmeranno quello che è già stato chiamato il “Lodo del Lingotto” un patto di non proliferazione degli espropri di vitigni.

Intanto, secondo un’indagine di Promotor, l’andamento del mercato del vino negli ultimi dodici mesi, non risulta poi così preoccupante, anzi la maggior parte dei responsabili acquisti della grande distribuzione organizzata prevede addirittura che il prossimo anno ci sarà una ripresa. Certo, i prezzi alti hanno influito sulle scelte di acquisto più pesantemente che in passato ed i consumatori si sono riposizionati su fasce di prodotto meno care, senza però rinunciare alla qualità. Questa, ormai è chiaro, è la tendenza cui i produttori dovranno adeguarsi.

L’innovatore di Montefalco. Caprai: Restare uniti per creare cultura

“Il nostro problema è la frammentazione. Non si possono promuovere contemporaneamente 100 tipi di vino soprattutto quando gli australiani lanciano una massiccia campagna promozionale unitaria dal Portogallo al Nord Europa. Il sistema Italia non può competere. Dobbiamo cambiare la strategia della promozione, altrimenti il vino italiano perde tutti i valori della nostra tradizione enologica e diventa un vino etnico, di qualità come lo sono i vini cileni e australiani”.

Il grido d’allarme arriva da Marco Caprai, il più giovane della famiglia di produttori che ha contribuito alla riscoperta del Sagrantino. I suoi timori nascono da un’analisi del mercato che vede il “sistema Italia” in affanno di fronte a concorrenti che si presentano con azienda che lavorano mediamente 300 ettari in grado di realizzare economie di mercato e iniziative di sostegno al mercato. Una forza d’urto che mette ai margini la nostra grande tradizione delle Doc.

Che cosa propone Marco Caprai?

“Dobbiamo modificare radicalmente la finalità dei nostri investimenti. Le sponsorizzazioni di iniziative come gli Europei di Calcio sono inutili. Il gioco non vale la candela. Meglio, dunque, investire nella formazione, nella creazione di una nostra cultura enogastronomica all’estero. Finanziamo scuole di cucina, investiamo su chi vuole diventare sommelier fuori dai nostri confini. Dobbiamo far diventare la cucina italiana una cucina internazionale come quella francese, farla uscire dai confini dell’etnicità. Questo è uno degli interventi che possono permetterci di riprendere quote di mercato tra i ristoratori stranieri”.

Quali sono gli altri interventi?

“Purtroppo i produttori italiani pagano il caro Euro e una politica commerciale degli Usa che sfrutta la svalutazione. Senza dimenticare che c’è un sistema daziario che favorisce nostri concorrenti diretti. Per evitare di essere sopraffatti è necessario cambiare strategia e puntare a iniziative che permettono di mettere insieme il mondo delle imprese vinicole. Per farlo non bastano i consorzi serve un intervento diretto del sistema Paese”.

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